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27/12/24 ore

La crisi politico-istituzionale non si risolve con le sole leggi elettorali


  • Luigi O. Rintallo

Il portaborse è il film di Daniele Luchetti che, nel 1991, contribuì non poco alla vittoria del SI nel referendum sull’abolizione delle preferenze voluto da Mariotto Segni e osteggiato da Bettino Craxi, che suggerì di sabotarlo andando al mare e fu clamorosamente smentito dall’elettorato. Nel film, che aveva per protagonista Nanni Moretti nei panni del corrotto on. Botero, vi è una scena in cui il segretario dell’onorevole – impersonato da Silvio Orlando – è reso edotto sul sistema di controllo dei voti di preferenza espressi sulla scheda elettorale.

 

Mentre in Parlamento si discute oggi della riforma elettorale, si sollevano da più parti critiche al sistema di voto proposto insistendo per lo più sul fatto che esso toglierebbe la libertà di scelta all’elettore. Pochi sono, invece, disposti a riconoscere che questa libertà cominciò ad essere sottratta proprio dopo quel referendum del 1991.

 

Da allora si è votato alle politiche con due diversi sistemi – il maggioritario con quota proporzionale e il proporzionale con premio di maggioranza – che avevano in comune la caratteristica di rafforzare il potere delle segreterie dei partiti nella predisposizione delle liste di candidati. Con il Mattarellum, infatti, in vigore dal 1994 al 2001, il 75% dei seggi era destinato a candidati uninominali e di conseguenza l’elettore, in quei collegi, non sceglieva certo la persona ma la lista, essendo il candidato imposto prima e a prescindere dal partito.

 

Vi erano collegi sicuri e collegi in bilico, per cui anche con l’uninominale era possibile garantire una lista di rappresentanti di fatto nominati, come dimostrò l’elezione di Di Pietro piovuto nel Mugello per decisione della segreteria del Pds. Nelle votazioni dal 2006 al 2013 si è invece utilizzata la legge approvata dalla maggioranza di centrodestra, con le modifiche apportate dall’intervento del presidente Ciampi che obbligarono per il Senato a istituire un premio di maggioranza regionale, determinando così una differenziazione nella composizione delle due assemblee.

 

La legge, detta porcellum, è stata in seguito giudicata incostituzionale perché prevedeva anche in questo caso liste bloccate di candidati, senza voto di preferenza e predisposte in base all’ordine numerico, cui si aggiungeva un premio di maggioranza alla coalizione che otteneva il maggior numero di voti. Con il Porcellum sono stati eletti tre Parlamenti: due a maggioranza di centrosinistra e uno a maggioranza di centrodestra.

 

Va inoltre, per amore di verità, precisato che nessuno dei due sistemi elettorali ha garantito più di tanto la stabilità dei governi, né tanto meno la loro efficacia decisionale: a ulteriore dimostrazione che tanto l’una che l’altra non sono impediti dal sistema proporzionale, ma da ragioni interne al sistema politico. Dal 1994 al 2005, a fronte di tre legislature, abbiamo avuto otto governi (quattro del centrosinistra con tre diversi presidenti del Consiglio e tre del centrodestra sempre con Berlusconi premier, più quello di Dini appoggiato dall’esterno da Ulivo e comunisti italiani).

 

Ugualmente è accaduto dopo l’approvazione del porcellum che pure garantiva un sostanzioso premio di maggioranza alla coalizione vincente: nel 2006 abbiamo avuto il governo Prodi, durato solo due anni, e nel 2008 il governo Berlusconi caduto nel 2011 e sostituito dal ministero tecnico di Monti. Dal 2013 a oggi, pur disponendo il PD di una vasta maggioranza alla Camera, siamo già al terzo governo in meno di quattro anni.

 

Per avere un senso, le polemiche attuali sulle cosiddette liste di nominati previste dalla legge in corso di approvazione dovrebbero pretendere che le liste dei candidati scaturiscano da consultazioni preventive dentro i partiti. È questa la riforma della politica davvero necessaria: ridare ai partiti il loro ruolo costituzionale di associazione tra liberi cittadini, dove il dibattito possa svolgersi compiutamente e con una partecipazione reale che derivi da un coinvolgimento nelle scelte e nelle responsabilità.

 

Protestare contro questo o altri sistemi di voto lascia il tempo che trova, se non si parte da questa esigenza. Di per sé ogni sistema di voto si presta a essere manipolato o deformato, qualora i partiti sono privi di questi caratteri. La libertà di scelta dell’elettore resterà una chimera e insistervi solo per rimandare il voto risponde di più al bisogno di oligarchie timorose di veder traballare equilibri consolidati, che non a una sincera preoccupazione per la “libera espressione” dell’elettore.

 

E lo stesso vale per chi contesta l’aver privilegiato la “precedenza” dei candidati nel listino proporzionale ai candidati dei collegi uninominali. Si dimentica che questi ultimi sono il risultato di maggioranze relative, anche molto basse, valide solo entro il confine del “loro” territorio (maggioranze molto spesso inquinate da presenze malavitose)  e, diversamente che in Germania, sappiamo bene cosa ciò possa significare in Italia. 

 

 


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