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16/11/24 ore

D’Alema e la convenienza del silenzio


  • Antonio Marulo

“Quando il gioco si fa duro i duri cominciano a giocare”. Così, Massimo D’Alema, fuoriclasse dei compagni di scuola del pci-pds-ds-pd, da sempre abile stratega dietro le quinte, ha deciso per sé un periodo di sovraesposizione mediatica, nel pieno di una polemica che vede l’agitarsi delle varie anime del Pd in vista delle cosiddette primarie.

 

Il presidente del Copasir ha saggiato prima il campo, intervenendo quasi in sordina in uno sperticato complimentone, di cui forse il diretto interessato avrebbe fatto volentieri a meno, al nuovo romanzo del rivale di sempre Walter Veltroni, poi si è decisamente lanciato un po’ su tutto: governo, legge elettorale, primarie, alleanze pre e post elettorali, con particolare attenzione a Matteo Renzi, detto il rottamatore.

 

Il Sindaco di Firenze "litiga con tutti" e per questo non è adatto a governare, ha sentenziato D’Alema. Peggio ancora, la sua azione sarebbe rivolta “non alla costruzione di una prospettiva di governo, ma esclusivamente contro il gruppo dirigente del Pd e tutti i potenziali alleati di governo del centrosinistra”, tant’è che “sembra essere sostenuto soprattutto da quelli che il Pd al governo non lo vogliono, a partire dalle personalità politiche e dai giornali che fanno riferimento al centrodestra”.

 

Saremmo in sostanza di fronte a una sorta di quinta colonna, pronta al sabotaggio. Si dà il caso però che, a proposito di sabotaggio, D’Alema rischia sua malgrado di non essere da meno. Per quanto infatti possano essere valide o fondate, le sue osservazioni devono fare i conti con una ormai proverbiale impopolarità, avendo il leader Pd affinato negli anni grosse capacità respingenti rispetto all’opinione pubblica, a cominciare dal suo elettorato che fa tanta fatica a digerirlo.

 

Il risultato di ciò è il vantaggio d’immagine che può ricavarne la vittima di turno dei suoi strali. Non ultimo, Matteo Renzi, il quale pure non è un campione di simpatia e, al di là delle frasi fatte a mo’ di battute da bar sport ripetute come un mantra in ogni occasione, nemmeno un fulmine dal punto di vista politico, ma con una reputazione, a torto o a ragione, di giovane emergente in un partito di oligarchi per nulla intenzionati a mollare l’osso e che, stando alle indiscrezioni, si sarebbero già spartite le poltrone prossime venture.

 

Ci si chiede, allora, se sia del tutto scartabile la prospettiva, per colui che “è andato a palazzo Chigi facendo il patto con Clemente Mastella”, di starsene - buono buono, zitto zitto - a operare lontano dai riflettori.

 


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