Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

24/12/24 ore

Parlamento e governo


  • Silvio Pergameno

I momenti di crisi politica profonda, quelli nei quali equilibri consolidati vengono meno e faticosamente, tra lotte e scontri e alleanze più o meno variabili, si dovrebbe tentare di costruire le basi di un futuro nuovo presentano ovviamente difficoltà che non solo si fa fatica ad affrontare, con rischi di gravità imponderabile, ma prima di tutto a capire.

 

Non dimentichiamo belle époque, quasi mezzo secolo di pace, di progresso economico, tecnico, scientifico, sociale e di costruzione del nuovo panorama politico nel quale entravano le masse e insieme scapigliata… e non meno frou frou. La generazione che ne aveva vissuto almeno gli ultimi anni la ricordava con nostalgia come un’epoca spensierata e felice, ma essa crollò all’improvviso,  si chiuse con i pochi colpi di pistola di Serajevo, precipitando il mondo nei più terribili massacri della storia.

 

I sintomi di un disfacimento profondo non mancavano. Il mondo delle arti, soprattutto, registrava – in opere sublimi - un clima di ripiegamento interiore, di decomposizione della realtà, di fughe dalle responsabilità e di ribellismi che non portavano da nessuna parte… o meglio portavano allo stravolgimento dell’idea di nazione da prodotto storico-sociale che si era fatta veicolo delle libertà e della democrazia liberale a erede delle fierissime rivalità fra gli stati che avevano caratterizzato l’epoca moderna, a sostegno delle politiche di conquista e di guerra.

 

Le vittime più illustri? La liberaldemocrazia e la socialdemocrazia, le due correnti politiche che in Europa esprimono (o dovrebbero esprimere) la tradizione laica più avanzata. E così trionfa il populismo, frutto terminale della confusione che da un secolo regna in Europa, e oggi con i russi che, alle porte, si presentano con il bastone usato in Ucraina e con il mazzo di fiori delle prospettive commerciali.

 

Perché il trionfo del populismo? Il populismo trionfa proprio nei momenti in cui mancano risposte vere ai problemi veri e così vincono le risposte banali, le risposte affrettate, le risposte di comodo.  Oppure le pseudo-risposte a pseudo-problemi.

 

Capita oggi di leggere che gli italiani sono alla ricerca dell’uomo forte; in altre parole si cerca di combattere il populismo con la diffusione della paura di un nuovo fascismo. Forse meglio si dovrebbe dire di “nuovi fascismi” o meglio ancora di democrazie arrangiate e tendenzialmente sempre di più, che, avendo la coda di paglia, subito si definiscono “antifasciste” ed “europeiste” (“sovraniste” è il fantasioso neologismo…).

 

Gli italiani, certo non tutti ma sicuramente parecchi di quelli che han votato “NO” il 4 dicembre, in realtà cercano la governabilità, che sperano sarebbe assicurata dalla presenza dell’uomo solo al comando, al posto di una rappresentanza (proporzionale), sistema ideale per favorire la frantumazione dello schieramento politico in gruppi e gruppetti, sensibili soprattutto ad assicurarsi la sopravvivenza (vedi la bagarre per la legge elettorale).

 

Solo che poi votano no al referendum costituzionale, per cancellare un tentativo (certo non smagliante) che cercava proprio governabilità, cui segue il coro fin troppo ampio di quelli che erano stati col fiato sospeso per la paura che vincesse il “SI’” e ora si affrettano a dire che la sconfitta di Renzi è definitiva, per dire che di governabilità non si parlerà più.     

 

Oggi c’è anche un gran discorso su un preteso conflitto tra governabilità e rappresentatività; che è un problema mal posto. E i successi dei “5 stelle” ne sono la prova più evidente. Le elezioni sono il meccanismo con il quale il popolo designa i suoi rappresentanti per il governo in senso lato, nel senso che lo stato si compone di tre elementi: popolo, territorio e governo, dove il “governo” significa le principali istituzioni, quanto meno potere legislativo e potere esecutivo.

 

Ora i “rappresentanti” non sono meri esecutori di un mandato (sia pur popolare), cosa che anzi la costituzione espressamente proibisce, ma persone cui viene attribuito l’esercizio di un potere, che specialmente con le funzioni diffusissime e complicatissime dello stato sociale è molto vasto. Questo potere, tra l’altro, si avvale, per esplicare le sue funzioni, di un’ampia organizzazione, che ne condiziona l’esercizio. La scarsa governabilità ha come conseguenza che le leggi prodotte dal parlamento restano inapplicate: così si diffonde la convinzione dell’impotenza della democrazia ed avanzano le soluzioni autoritarie, che nei populismi trovano la fonte del consenso.

 

POST SCRIPTUM. Mi rendo conto che torno sempre sugli stessi argomenti, ma Lenin diceva che era una necessità, per far entrare le cose nella testa di tutti.

 

 


Aggiungi commento