Dalla globalizzazione al protezionismo, da Bush a Trump (via Obama), dall’attenzione alle responsabilità globali (o imperialismo, secondo i gusti) alla svolta verso il piede di casa: così sulla nostra schiena arriva una bella briscola (letteralmente Trump), di quelle che fanno male e costringono a pensare.
Si è interrotta un’alternanza tra democratici e repubblicani che durava dal 4 marzo 1869, perché the Donald non è un repubblicano, ma un outsider che il Grand old party ha candidato, non solo, ma che molti repubblicani vedono come il fumo negli occhi. Non sarà quindi una presidenza, quella di Trump, con un Presidente che governa con un partito avverso, ma quella di un presidente che governerà con non pochi avversari anche nel partito che lo ha candidato. Si intravede quindi una presidenza abbastanza accidentata.
Nelle prime righe di questo scritto, ho accennato al fatto che la svolta di Trump aveva trovato qualche precedente nella presidenza Obama, il quale aveva già marcato, subito, un distacco dal suo predecessore George W. Bush. Obama infatti si era affrettato a ritirare il contingente militare che Bush aveva lasciato in Iraq per sorvegliare la fase postbellica: al nuovo presidente democratico non interessava più che gli Usa gestissero un ruolo di grande potenza, facendosi carico di responsabilità globali: gli USA cominciavano così a tirare i remi in barca, avevano fatto troppe guerre…
E Trump muove ora dallo stesso presupposto, ed inizia da subito a muoversi in un’orbita domestica e con prospettive domestiche. Farà di sicuro molte cose; a noi interessa metterne in rilievo due: la denuncia la TPP, la Trans Pacific Partnership e l’avvio della costruzione di un muro che separi gli Stati Uniti dal Messico: protezionismo stile secondo millennio.
La costruzione del muro (come vogliamo chiamarlo? Muro di “el Paso”?… può andare) serve a impedire che i messicani arrivino in frotte negli USA, introducendo variabili indesiderate: meglio proteggersi… la denuncia della Partnership con i paesi asiatici è il ripudio della missione imperiale degli USA, fatta di mantenimento di un ordine internazionale, della prospettiva di esportazione della democrazia, di cooperazione economica quale strumento di un progetto assai più complesso. Avevano pienamente aderito dodici paesi: Brunei, Cile, Nuova Zelanda, Singapore, Stati Uniti, Australia Perù, Vietnam, Malesia, Messico, Canada, Giappone e stavano pensando di aderire Colombia, Filippine, Thailandia, Taiwan, Corea del Sud.. . Sì! Pure il Vietnam.
Non un trattato, ma un progetto di massima per la promozione di scambi e investimenti, innovazione, crescita, sviluppo, occupazione: un progetto di stampo liberal, non statalista, aperto alle istanze sociali... nel quadro di altre partnership.
C’è da chiedersi. Ma l’”America” non era il paese degli immigrati? Dove la democrazia politica era sorta sulla base delle diversità etniche e sociali di gruppi che dovevano convivere…, con ascendenze religiose che ne avevano marcato alcuni caratteri, di moralismo… politico? Si! Ma aveva nel tempo sviluppato anche un carattere nazionale molto determinato e un’autocoscienza ben determinata.
La partecipazione ai due grandi conflitti del secolo passato, avevano contribuito a rafforzarlo. Alla prima furono le pressioni popolari dopo le morti di tanti americani negli affondamenti effettuati dai sommergibili tedeschi del Lusitania, dell’Arabik e del Sussex a costringere in guerra il riluttante pacifista Wilson, che aveva mediato persino le sciocchezze di Hindenburg e di Ludendorff, generalissimi tedeschi che volevano coinvolgere il Messico contro gli USA, promettendogli il Texas e il Nuovo Messico… e quanto alla seconda guerra mondiale ci pensarono i giapponesi con l’attacco a Pearl Harbour.
Ora Trump rivendica nazionalismo a tutto spiano: sovranità, interesse, identità, e l’eco rimbalza dall’altra sponda dell’Atlantico: Farage, Led Pen, Petry, Orban, Grillo, Salvini, Szydlo… tutto questo dimostra la scarsa consapevolezza storico-politica di una classe dirigente (si fa per dire) di qua e di là dell’Atlantico proprio dei disastri terribili, dei massacri, delle distruzioni che il nazionalismo ha provocato al mondo intero e di quelli che continua a provocare, dei rischi a cui ci espone, sol che si pensi al favore che fa al divide et impera di Mosca, che avrà gioco facile a far capitolare uno alla volta i deboli stati di un’Europa divisa.
Altiero Spinelli è stato profetico: la riproduzione dei vecchi stati dove erano e come erano, finita la seconda guerra mondiale, non avrebbe potuto costituire alcuna base per una rinnovata e dinamica democrazia all’altezza dei nuovi tempi.
é uscito il N° 118 di Quaderni Radicali "EUROPA punto e a capo" Anno 47° Speciale Maggio 2024 |
è uscito il libro di Giuseppe Rippa con Luigi O. Rintallo "Napoli dove vai" |
è uscito il nuovo libro di Giuseppe Rippa con Luigi O. Rintallo "l'altro Radicale disponibile |