Dunque, niente paura, nessun obbligo automatico di pagare. "L’Avvenire" con un titolo rassicura le scuole cattoliche terrorizzate, dando notizia dell’intervento chiarificatore della Cassazione che ha voluto fugare dubbi ed annacquare le polemiche seguite alla sentenza sull’Ici agli istituti paritari.
L’interpretazione alla sentenza – riporta con sollievo il quotidiano della Conferenza episcopale - "è che l'esenzione spetti laddove l'attività cui l'immobile è destinato, pur rientrando tra quelle astrattamente previste dalla norma come suscettibili di andare esenti, non sia svolta in concreto con le modalità di un'attività commerciale". La Corte chiarisce anche che "l'onere di provare tale circostanza spetta al contribuente". Nel caso delle scuole di Livorno, dunque, la Cassazione ha ritenuto "che il giudice d'appello non avesse congruamente motivato in ordine al conseguimento in giudizio di siffatta prova da parte dell'istituto religioso, tenendo conto di quanto la giurisprudenza della Corte ha affermato circa gli elementi che contraddistinguono l'attività di impresa".
Insomma, la questione riguarda lo scopo di lucro, che va provato caso per caso. Nulla c’entrerebbe quindi l’aspetto costituzionale che pure il professor Salvatore Settis aveva ben spiegato, felicitandosi per il fatto che una volta tanto si dava seguito all’articolo 33 della Carta nella parte in cui si specifica che “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”. E invece l’onore aggiuntivo per lo stato potrà esserci, a patto che nell’esercizio paritario l’istruzione scolastica si prefiguri un’attività non commerciale.
In proposito, c’è da dire, che per quanto riguarda invece l’Imu e la tasi, quindi la situazione attuale, il governo Renzi ha tolto le castagne dal fuoco stabilendo un criterio, diciamo forfettario, per delimitare il campo d’esenzione, per cui il pagamento delle tasse è ancorato all’ammontare della retta scolastica: se inferiore a una cifra di circa sei/settemila euro – come riporta il post.it - l’istituto paritario (in verità quasi tutti) potrà definirsi a tutti gli effetti non profit e quindi agevolato.
Ed è proprio sul concetto di non profit che in realtà casca il proverbiale asino. Questo perché tutto l’impianto su cui si base il nostro sistema fiscale, tra esenzioni e agevolazioni, è inquinato alla fonte, con grave nocumento per le casse statali, dal modo in cui è stato disciplinato l’intero cosiddetto Terzo settore. Per rientrare in quello che Giovanni Moro descrive, in un interessante libro già recensito su Agenzia Radicale, come magma indistinto (per cui si può avere diritto di far parte del “non profit a prescindere” anche se sei il Circolo di Tennis Parioli), è sufficiente non distribuire utili, attenendosi ai “requisiti che rientrano perfettamente nel tradizionale, ossessivo, formalismo giuridico che soffoca il nostro paese, e che poco o nulla hanno a che fare con ciò che viene realizzato”.
Ora, nel caso specifico dell’istruzione, proprio le scuole paritarie, cattoliche e non, potrebbero trarre vantaggio da una ridefinizione del concetto che operi quell’ “esercizio del distinguere” su ciò che sia o meno meritevole di essere considerato “non profit” e smascheri le attività palesemente commerciali e con nessuna finalità sociale o filantropica e tolga i privilegi a chi magari, tanto per fare un esempio, può vantare una cappella votiva all’ingresso del Bed and Breakfast adiacente Vaticano.
Per giunta, se le amministrazioni pubbliche potessero contare su maggiori entrate fiscali, grazie all’eliminazione dei finti non-profit, oltre a non avere più strumenti, si guarderebbero dal ricorrere contro chi, retta o non retta scolastica, lucro o meno, in effetti svolge attività di sociale e di servizio pubblico meritevole in molti casi di un occhio di riguardo.
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