La natura delle cose è tale che assai spesso
l’abuso è preferibile alla correzione.
Montesquieu
Un nutrito dibattito si è svolto in queste settimane sui provvedimenti normativi in materia di ferie e di responsabilità civile dei magistrati (che hanno provocato risentimento negli ambienti giudiziari), mentre contrapposizioni si sono verificate su territori molto sensibili come quelli della corruzione, delle intercettazioni, della prescrizione.
In primo luogo in materia di corruzione si è sentito parlare di estensione a questa tipologia di reati delle norme sulla mafia e sulla criminalità organizzata, che appare una richiesta molto strana, perché si tratta di assimilare reati punibili con pochi anni di carcere a fattispecie penali di estrema gravità, mentre poi non si può ignorare il fatto che, per quanto i casi di corruzione si siano molto estesi, non si può certo trascurare il fatto che si tratta pur sempre di un numero limitato di fattispecie di fronte a milioni di dipendenti pubblici.
Inoltre può sembrare che il fenomeno si inquadri piuttosto in un complesso di fatti abnormi che riguardano l’andamento complessivo delle amministrazioni pubbliche, che coinvolgono un abnorme partitismo e l’uso distorto dei poteri istituzionali: si pensi al caso “Batman”, all’abuso delle consulenze, alla gestione delle società poste in essere dagli enti locali, alla stabilizzazione di elevati numeri di precari quando l’art. 97 della costituzione prescrive l’uso del concorso per le assunzioni, salvo i casi stabiliti dalla legge (espressione che non significa certo che si possono effettuare assunzioni con una legge qualsiasi, ma che una legge stabilisce quali sono le categorie di assunzioni che si possono effettuare senza concorso)….
Non si può poi dimenticare che la costruzione dello stato sociale ha comportato un’enorme ampliamento delle gestioni pubbliche e che essa è il portato dell’avvento a responsabilità di governo di classi politiche nuove, il cui problema principale era quello per l’appunto di estendere provvidenze e garanzie a ceti sociali ai quali andava assicurato un minimo di soddisfazione di un tenore di vita possibile.
La correttezza delle gestioni amministrative è sempre stata una preoccupazione delle destre; per le sinistre (e per la stessa DC) il problema di fondo non era e non poteva essere questo. E non è certo un caso che la corruzione sia comparsa con il tramonto della destra storica centocinquant’ anni fa.
Materia incandescente quella delle intercettazioni, dove, anche se finora in sede governativa e parlamentare era stato messo all’ordine del giorno il problema del coinvolgimento di persone estranee alle indagini o quello della fuga di notizie coperte dal segreto istruttorio, esiste una tendenza molto precisa nell’ambito della magistratura che tende senza infingimenti ad escludere l’intervento legislativo nello stabilire le condizioni al rispetto delle quali è subordinata la possibilità di fare uso di questo strumento istruttorio. E ciò benché l’art. 15 della Costituzione stabilisca che la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabile e che la loro limitazione può avvenire solo per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite proprio dalla legge.
La costituzione cioè pone proprio una espressa riserva di legge in questa materia e non lascia affatto all’autorità giudiziaria il potere di stabilire le regole in questa materia: si tratta di tutelare una delle libertà fondamentali e per questo esiste una norma costituzionale e non soltanto l’obbligo del segreto istruttorio o la tutela della privacy. Né si può ignorare l’opportunità che è stata segnalata sempre nell’ambito degli ambienti giudiziari di stabilire l’interruzione della prescrizione se sia intervenuta sentenza di condanna in primo grado; interruzione che, come è noto, comporta che la prescrizione ricominci a decorrere ab initio, al fine, ovviamente, di evitare che nel corso dei successivi gradi del giudizio essa possa intervenire estinguendo il reato.
In altri termini si finisce con lo scaricare sul condannato, sia pur involontariamente e con le migliori intenzioni, le conseguenze della durata abnorme del processo, senza alcuna considerazione per le ragioni che giustificano l’istituto della prescrizione e forse dimenticando che anche il condannato è un soggetto di diritto.
Oggi viviamo in un tempo nel quale esistono diffusi timori per le sorti della nostra democrazia; ma occorre comprendere bene quali possono essere i rischi. Non si tratta di temere l’avvento di un nuovo fascismo, cosa inconcepibile se non altro per trovarsi l’Italia inserita nell’Unione Europea oltre che per i caratteri delle forze politiche italiane.
Ma esiste un processo inavvertito di restrizione delle nostre libertà, che si manifesta nelle leggi che disciplinano le elezioni e la propaganda elettorale, nella svalutazione dell’istituto del referendum, nel comportamento delle forze politiche rispetto ai progetti di legge di iniziativa popolare (che non giungono mai a essere discussi in Parlamento); nelle carenze gravi dell’informazione giornalistica e radiotelevisiva; nell’elevato numero delle assoluzioni perchè il fatto non è stato commesso o non costituisce reato; nel peso della tassazione; nel malfunzionamento delle pubbliche amministrazioni… ogni giorno meno liberi…
Confusamente la reazione diffusa a questo stato di cose si esprime in tendenze populistiche assai sconclusionate (anche se non nella ricerca di un rifugio nella ribellione violenta come è stato quarant’anni fa) e nella carenza delle forze politiche che stentano a trovare la strada di un corretto bipartitismo.
In tale condizione matura lo scontro ineliminabile tra giustizialisti e garantisti, in effetti assai scarsamente rappresentati questi ultimi di fronte allo scatenarsi di passioni estremizzate, ma le cui ragioni …ignorate sono al fondo della crisi politico istituzionale che stiamo attraversando.
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