Non pareva vero ai giornali, nel 2006, di vedere in manette il figlio dell’ultimo re d’Italia, Vittorio Emanuele di Savoia. Accusato di associazione per delinquere, corruzione, sfruttamento della prostituzione e altri vari illeciti, il nobile passò una settimana nel carcere di Potenza, tra il tripudio della solita campagna forcaiola messa in piedi dall'editoria italiana.
Le accuse mosse dal pm Henry John Woodcock, a cui non sono mancati insuccessi giudiziari, caddero giorno dopo giorno, prima ancora di approdare in fase dibattimentale. Nel 2007 il gip della procura di Como, a cui era stata affidata l'inchiesta per competenza territoriale, prosciolse Vittorio Emanuele perché "i fatti non hanno rilevanza penale". Ancor più chiaro fu, tre anni dopo, il gup di Roma nel filone relativo al gioco d'azzardo illegale, che assolse il principe perché "il fatto non sussiste".
L'ultima puntata di questa emblematica storia è emersa nelle cronache proprio in questi giorni. Dopo quasi dieci anni, infatti, lo Stato lo risarcirà Vittorio Emanuele (che non brilla certo per simpatia e fascino di pensiero) con 40mila euro per i giorni passati in cella da innocente, dando riconoscimento giuridico all'ennesimo caso di abuso della carcerazione preventiva. Senza dimenticare gli enormi danni in termini di immagine, che nessun indennizzo sarebbe in grado di riparare.
Destino vuole che l'ultima novità della vicenda che vede coinvolto il principe di casa Savoia giunga proprio all'indomani dell'approvazione da parte della Camera della nuova legge sulla responsabilità civile dei magistrati. Se da un lato vi è l'Anm che parla di aggressione nei confronti dell'indipendenza della magistratura, dall'altro vi è l'attualità del caso Savoia, che racchiude in sé buona parte dei problemi atavici che affliggono il sistema giudiziario del Paese: errori giudiziari, approssimativismo, uso sconsiderato della custodia cautelare, strabordante protagonismo delle toghe.
Proprio riguardo a quest'ultimo punto non si può non sottolineare ancora una volta la precarietà di alcune inchieste del pm anglo-napoletano Henry John Woodcock, divenuto famoso per le sue indagini tanto allettanti mediaticamente quanto fragili sul piano giudiziario. Qualcuno ricorderà il famoso "Vipgate", che nel 2003 coinvolse una serie di personaggi noti della politica, dello spettacolo e del giornalismo. In tutto furono 78 le persone indagate, ma tutto finì poi in una bolla di sapone, in virtù di richieste accusatorie destituite di ogni fondamento.
L'anno dopo toccò all'inchiesta sui legami tra criminalità e politica nella gestione degli appalti in Basilicata. In manette finirono addirittura 51 persone, prima che le prove fornite da Woodcock fossero ritenute dal Tribunale del riesame insufficienti. La lista degli insuccessi del pm napoletano potrebbe continuare - con il flop, ad esempio, dell'altra inchiesta-feticcio denominata "Vallettopoli" - ma arrivati a questo punto il tutto diventa paradossale.
Rimangono, nel frattempo, gli effetti negativi di questi errori giudiziari per la vita delle persone coinvolte. Così come cominciano a pesare anche le loro conseguenze economiche per le casse dello Stato. Nel 2007 l'ex sindaco di Campione d'Italia Roberto Salmoiraghi è stato risarcito con 11mila euro per ingiusta detenzione nell’ambito dell’inchiesta "Savoiagate" (anche se il comune, proprio a causa di questo arresto ingiusto, venne commissariato).
Un risarcimento è stato chiesto anche da Vincenzo Puliafito, un ispettore di polizia inquisito nella stessa vicenda Savoia con l’accusa di aver ricevuto una mazzetta da Vittorio Emanuele e poi assolto. In un parere richiesto dal ministero dell'Interno, il Consiglio di Stato nel dicembre scorso ha sancito che il ricorso di Puliafiato per il rimborso di 143mila euro di spese legali "merita accoglimento". A pagare, ovviamente, non sarà chi ha commesso quell'errore ...
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