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16/11/24 ore

Renzi e i poteri del Governo


  • Silvio Pergameno

Matteo Renzi – proprio nella qualità di Presidente del consiglio - è oggi sotto accusa da varie parti, soprattutto perché a suo carico ha sollevato doglianze anche la Presidenza della Camera dei Deputati, alla quale poi viene replicato che essa travalicherebbe dal suo ambito istituzionale in quanto verrebbe meno alla posizione di terzietà, che deve contraddistinguere l’esercizio delle sue funzioni.

 

Una risposta piuttosto deviante, in quanto la Presidente della Camera solleva una questione che riguarda la pienezza dei poteri dell’Istituzione la cui gestione è affidata alle sue cure e in questo senso interpreta – e può interpretare - le proteste di alcuni settori dell’Assemblea, anche se questi, certo, si muovono perché si vedono sconfitti su tematiche di merito nelle quali si oppongono a quel che fa o cerca di fare la maggioranza e allora si avvalgono degli strumenti formali per sostenere quelli sostanziali, sui quali si sentono perdenti. La maggioranza poi, a sua volta, rivendica il diritto a non essere bloccata da un potere di veto delle minoranze e allora replica a suon di decreti legge e di voti di fiducia.

 

Della fiducia si è parlato spesso su AR: da una forma di controllo del parlamento sul governo in fatto essa diventa una forma di ricatto del governo sui gruppi che lo sostengono minacciando elezioni anticipate (e se si perde, poi, spariscono anche le mille e mille entrature nei vasto mondo delle presidenze, degli incarichi, delle consulenze…). Quanto poi ai decreti legge la costituzione pone dei presupposti, ben noti, e che consistono nelle condizioni di necessità e urgenza di provvedere. Ora la necessità è spesso palese, ma c’è l’urgenza?

 

E qui si apre la grande questione. Come si comporta Renzi? Renzi è un politico che, secondo chi scrive, può essere interpretato nel senso che di grandi riforme stiamo campando da trent’anni senza cavare un ragno dal buco e lasciando incancrenire le situazioni, perché riformare – nelle condizioni in cui siamo piano piano scivolati nel corso dei decenni - comporta dislocazioni di potere e partiti, correnti, gruppi, per non sbagliare, non si mettono mai d’accordo; e allora meglio afferrare quel poco che si può piuttosto che lasciar fare i partiti e le loro delegazioni parlamentari (così essi concepiscono Camera e Senato), perché sulla scia di questo tran tran non si va da nessuna parte e tutto si esaurisce e si blocca all’interno del palazzo, dove si litiga solo per calcoli elettorali, poltrone, prebende… Su questo binario la vera politica resta ai margini estremi e trionfa la degenerazione frazionistica e fazionistica e corporativistica (ci si scusino i neologismi), con la conseguente estensione irrefrenabile di un campo fertile per la corruzione, per l’evasione e l’elusione fiscale, per i faccendieri… con i pubblici poteri che diventano una zona grigia in cui accade di tutto.

 

Son trent’anni che si finge di discutere. C’è l’urgenza? E intanto Renzi, a modo suo, porta a casa l’idea che qualcosa si può cominciare a fare, contro uno statu quo che sembra perpetuarsi in eterno. Il Governo strafa, è la lamentela. Già, ma il Capo del governo per la nostra Carta è un Presidente del Consiglio dei Ministri o un Primo ministro, un premier? Un primus inter pares o uno che sta un gradino più in su?

 

Ora il sistema che la Costituzione delinea, certo, è parlamentare, nel senso che non è presidenziale, ma non è affatto assemblearistico, come è diventato di fatto, nel senso che il governo secondo una certa prassi interpretativa, che è diventata si può dire l’unica, sarebbe solo l’esecutore di delibere parlamentari. Ma c’è un’altra interpretazione, ad avviso di chi scrive, più conforme alla costituzione: i compiti del Parlamento sono circoscritti al potere di fare le leggi e nel dare la fiducia al Governo per le cose che fa, che cioè rientrano nei compiti suoi e non del Parlamento. Senza dimenticare che la governabilità di un paese è legata a questa seconda interpretazione.

 

La questione non è teorica; non si esaurisce in dotti dibattiti, perché se la risposta alla posta alternativa viene data nel primo dei sensi delineati, allora poi non ci si deve lamentare per il fatto che da decenni la nostra vita politica è degradata a un pis aller, perché di dibattito in dibattito, di confronto in confronto, di rinvio in rinvio (legati poi a problemi di sopravvivenza) non si arriva mai a conclusioni fattive. Un esempio di rilievo? Prendiamo il famoso Mattarellum, che tentò di affrontare la crisi dei partiti e il frazionismo: ha prodotto il bipartitismo, come si auspicava? No; ha prodotto il bipolarismo, cioè le coalizioni salva tutti, da cui è derivato lo sfascio completo. Come uscirne?

 

 


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