La Camera ha approvato la nuova legge sulla responsabilità civile dei magistrati, una riforma che tocca forse soltanto marginalmente la “questione giustizia” nel suo complesso, ma si rivela molto interessante per la resistenza che i diretti interessati frappongono alle nuove norme. O forse meglio si direbbe “i controinteressati”, visto che i magistrati non la prendono bene. Eppure non dovrebbe essere così.
Se un cittadino o un organo dello stato arreca un danno a un altro cittadino, è giusto che il colpevole provveda a risarcire il danneggiato e non si vede perché il cittadino magistrato dovrebbe essere esentato da questa responsabilità, se ha agito con dolo o colpa grave. Tanto più che la nuova legge pone a carico dello stato il risarcimento, con possibilità di rivalsa limitata nei confronti del magistrato colpevole, nel senso che lo stato può rivalersi nei confronti di lui solo per parte del trattamento economico di cui fruisce (e qui dovrebbe entrare la Corte dei conti, per la sua competenza in materia di danni all’erario provocati dai dipendenti statali).
La norma, comunque, è anche nell’interesse del cittadino danneggiato, perché lo stato ha capacità finanziarie molto più ampie che non quelle di una parte dello stipendio di un giudice. E qui non si comprende perché certi gruppi politici vorrebbero la responsabilità diretta del giudice colpevole, se non per una sorta di animosità nei confronti di una disposizione che viene letta forse come un favoritismo.
Comunque gli interessati (o controinteressati che siano) rivendicano più che altro il famoso filtro dell’autorità giudiziaria per ammettere al giudizio la causa che il cittadino vuol promuovere contro un giudice che egli ritiene abbia emesso una sentenza affetta da dolo o colpa grave. Ebbene qui si entra in un altro campo, un campo che tocca i limiti dell’indipendenza della magistratura, indipendenza che riguarda l’esercizio delle funzioni, non il fatto che spetti al legislatore stabilire questi limiti, per cui la protesta si configura come strumento di cui un corpo dello stato si avvale per l’autoconservazione di un ruolo, che però può privare il cittadino del diritto ad avere una sentenza su una sua pretesa e spoglia inoltre proprio il giudice del potere di decidere nei casi non autorizzati.
Guardiamo alla giustizia, allora, che, attenzione, resta l’unico ambito nell’organizzazione dello Stato nel quale poter contare per uscire dalla confusa istituzione nella quale il paese versa: lasciamo perdere il famoso protagonismo dei giudici, che è un fatto che tocca singole persone (e si direbbe non molte) o la stessa fuga di notizie o le simpatie o antipatie che ciascuno individua nel comportamento di singoli giudici o pubblici ministeri, fenomeni tutti che rientrano nello stesso ordine di idee.
Ma quando i magistrati pretendono di avere voce in capitolo sulle riforme della giustizia, allora il discorso cambia, perchè in queste materie la magistratura va sentita nelle alte forme istituzionali, per un parere tecnico espresso dai supremi vertici e non con interventi di stampo politico.
La giustizia è un terreno significativo, proprio per valutare le capacità riformistiche della Leopolda e del governo della Leopolda. La nostra giustizia fa acqua da tutte le parti, con punte emergenti: le carceri e insieme i tempi (costosissimi da tutti i punti di vista) per ottenere una sentenza; problemi di fondo che toccano i cittadini (anche i carcerati lo sono, perchè non sono certo dei capitis deminuti) e qui il governo dice: l’arretrato è un po’ diminuito e così pure la popolazione carceraria; ma l’habeas corpus, diciamo noi, che è il problema di principio? Non viene proprio in campo…
Separazione della carriere: bèh, intanto il governo dice: vediamo di stabilire che cosa non può fare un pubblico ministero e vediamo di non lasciarlo troppo tempo a fare quel mestiere, poi si vedrà. Già ma si trascura il problema di fondo, che è quello che il pubblico ministero promuove l’azione penale e quindi è parte nel giudizio e allora cosa ci sta a fare nella carriera dei giudici? Non è meglio metterlo tra gli avvocati dello Stato? E così via. Obbligatorietà dell’azione penale. Bèh, vediamo di circoscrivere la discrezionalità di cui di fatto godono le procure…
E le riforme della Leopolda si assomigliano tutte.
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