La Corte d'Appello di Salerno ha dichiarato Vincenzo De Luca decaduto dalla carica di sindaco di Salerno per incompatibilità tra il suo ruolo di primo cittadino e quello di viceministro ai Trasporti ricoperto durante il governo di Enrico Letta, tra il 3 maggio 2013 e il 22 febbraio 2014.
Dal punto di vista formale, il provvedimento ha un suo fondamento. I giudici di appello hanno infatti confermato la sentenza in primo grado del 24 gennaio 2014, che dichiarava sussistente la causa di incompatibilità di De Luca (ai sensi dell'articolo 68 comma 2 del d.lgs. 267/2000), ma la cui applicazione era stata sospesa proprio per il ricorso in appello del sindaco di Salerno, in questo modo autorizzato a restare in carica. Almeno fino alla sentenza di oggi, che dichiara appunto De Luca decaduto dalla sua carica di primo cittadino.
Ciò che crea perplessità, insomma, non è tanto - come si è affrettato a dichiarare De Luca - la decadenza da una carica elettiva e precedente rispetto a un incarico non elettivo e successivo, dal momento che la normativa stabilisce la decadenza anche per cause di incompatibilità che sopravvengono dopo l'elezione, quanto il fatto alquanto evidente che le suddette cause di incompatibilità non sussistano più da ormai quasi un anno, da quando cioè De Luca non ricopre più alcun incarico di governo.
La sentenza di primo grado giunse tuttavia quando De Luca rivestiva ancora quella carica, e dunque lo scenario - seppur contraddittorio - va accettato così com'è. Ben altre considerazioni merita invece l'ormai famosa legge Severino, con la quale il nostro sistema politico-giudiziario ha toccato il punto più alto della sua deriva schizofrenica, stabilendo, oltre che l’incandidabilità di parlamentari e amministratori locali condannati definitivamente per gravi reati, soprattutto la decadenza di quelli condannati con sentenza non definitiva. Un istituto, quest'ultimo, che, alla faccia della presunzione di non colpevolezza, eleva qualsiasi condanna in primo grado a verità assoluta, gettando le basi per un uso politico ancor più marcato della giustizia da parte di alcuni magistrati.
Ne sa qualcosa il sindaco di Napoli Luigi De Magistris, condannato a 1 anno e 3 mesi con l'accusa di abuso d'ufficio per aver svolto intercettazioni illecite ai tempi dell'inchiesta "Why not", trampolino di lancio della sua carriera politica. Dopo essere stato dichiarato decaduto in attuazione della legge Severino, l'ex paladino di Di Pietro e Grillo - anziché accettare la propria sorte, in coerenza con quel populismo gustizialista da lui perpetrato per anni e paradossalmente "matrice ideologica" della stessa insana normativa in questione - è riuscito ad ottenere il reintegro dal Tar della Campania, che ha spedito la legge Severino direttamente alla Corte costituzionale.
Lo stesso iter (condanna in primo grado per abuso d'ufficio, decadenza, e reintegro con rinvio della legge alla Corte costituzionale) è toccato anche proprio a Vincenzo De Luca, prima che questi fosse - come abbiamo visto - nuovamente dichiarato decaduto per altre ragioni. Ma se a De Magistris e De Luca è andata bene, lo stesso non si può dire per le altre decine di consiglieri regionali, provinciali e comunali toccati da sentenze non definitive eppure decaduti dalla loro carica con l'applicazione della legge Severino, lontano dai riflettori delle grandi città.
La legge varata sotto il governo Monti e che porta il nome dell'ex Guardasigilli rappresenta, in altre parole, un vero e proprio mostro giuridico in termini di equilibrio tra sfera politica e giudiziaria. Una normativa frutto di una stagione in cui la classe politica, allo sbando e commissariata dall'avvento dei tecnici, assecondò in maniera opportunistica le tendenze più manettare ed antipolitiche provenienti dall'opinione pubblica per costruire inesorabilmente attorno a sé tutte le condizioni per un suo ulteriore assoggettamento ad un inarrestabile potere giudiziario, con gravi ripercussioni sugli equilibri democratici del Paese, ora sotto gli occhi di tutti.
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