La strage nella redazione del Charlie Hebdo ha portato tragicamente all’ordine del giorno il groviglio di contraddizioni con il quale forze politiche e società civile da decenni si rifiutano di confrontarsi. Non a caso, perché il tempo nel quale viviamo ci costringe ad attraversare un campo minato. E l’intrico si è reso ancora più complesso con la denuncia e l’arresto per "apologia del terrorismo" (prontamente seguito da liberazione) di Dieudonné, "attor comico" – si fa per dire - di grande successo nella capitale francese, alle origini vicino alla sinistra ma poi scivolato sul fronte opposto e in particolare giudicato un antisemita per le violente posizioni assunte sul tema.
L’umorismo, la satira dovrebbero far ridere, ma certe espressioni ”estremisticamente finalizzate” possono far ridere soltanto persone che condividono certi presupposti ideologici; negli altri suscitano soltanto sdegno e disgusto, perché forniscono unicamente la misura di tragedie inconsapevolmente evocate. Gli sketch, che feriscono violentemente sentimenti e credenze di vasti strati di credenti, irrisi nella semplicità delle loro convinzioni, rappresentano l’esatto opposto del percorso di accoglienza che occorre mettere in atto nei confronti dei milioni di extracomunitari che vivono orami stabilmente nei paesi europei e delle masse di migranti che caratterizzano il nostro tempo.
È sempre più evidente che proprio questi milioni di esseri umani rappresentano l’obbiettivo dell’ estremismo violento: sono loro che vanno aizzati contro l’Occidente per poter sperare di vincere la partita. L’orrore delle stragi di Parigi ha richiamato a Place de la République e a Place de la Nation decine e decine di capi di stato e di governo ed esponenti politici di tutto il mondo e milioni di persone a sostegno della libertà di espressione, fondamento di ogni vera democrazia, e a testimonianza della condanna delle efferatezze delle imprese terroristiche.
Non si tratta di mettere in discussione i principi. Non si tratta di dimenticare Voltaire, quando affermava di poter dare la vita per garantire il diritto del suo avversario a dire quel che pensa e del quale non condivideva le idee. Il problema riguarda il dibattito all’interno delle società democratiche e la necessità di fare chiarezza sulla complessità connesse con l’uso degli strumenti della democrazia. Perché ci sono segnali inquietanti: migliaia di ebrei lo scorso anno hanno lasciato la Francia, per il clima di antisemitismo che serpeggia nel paese: al di là delle stragi di Tolosa e dell’ipermercato Kosher, il ripetersi di aggressioni, il diffondersi dell’equiparazione tra ebrei e nazisti…
Lo scontro tra multiculturalisti e identitari si trascina tutto su dati superficiali, che da un lato ignorano la genesi storica della democrazia, il suo stretto legame con la tradizione occidentale, le difficoltà non di un’esportazione della democrazia (Impresa assurda) ma della necessità di far sgorgare i principi di libertà ed eguaglianza in culture che non hanno registrato il percorso storico di oltre venticinque secoli di approfondimenti e dibattiti da cui essi sono scaturiti. E dall’altro l’incapacità di distinguere fra stato e nazione e di rileggere la vicenda lungo la quale nel corso del secolo decimonono la “nazione” finisce con l’assimilarsi con lo stato, ereditandone la filosofia del potere e della conquista delle monarchie assolute, sfociando nel nazionalismo fascista e sotterrando la fraternità tra i popoli.
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