Frequentate dai neonazisti, con partecipazione di pubblico non assicurata (molte migliaia di persone in piazza a Dresda e in genere nell’ex Germania est, pochi manipoli a Berlino, Colonia e altre città all’ovest) le manifestazioni della nuova associazione antislamica tedesca turbano i sonni delle chiese e dei partiti democratici tedeschi, impauriti per la contrapposizione di contenuto razziale.
Non ci sono stati episodi di violenza né aggressioni verbali esagitate; è stato notato a Colonia un cartello che raccomandava "patate e non kebab", slogan non proprio di stampo hitleriano e in molti luoghi significativi, come la porta di Brandeburgo a Berlino, sono state spente le luci, ma dai cortei a Dresda sale il grido "Noi siamo un popolo".
Sembra facilmente spiegabile il fatto che nei territori dell’ex Repubblica Democratica Tedesca il richiamo nazionale sia più immediato ed esclusivo, più legato a dimensioni culturali del passato, mentre nella Germania ovest i conti col nazismo hanno raggiunto livelli diffusi, soprattutto quando, sotto la spinta del Movimento studentesco, i figli hanno chiesto ai padri “ ma voi dove eravate?”, “ma voi cosa facevate?” e senza dimenticare il dibattito culturale, sostenuto in particolare dalla Scuola di Francoforte.
Ciò nonostante il movimento “PEGIDA” (Patrioti Europei contro l’islamizzazione dell’Occidente) suscita apprensione tra le forze politiche tedesche, tanto che il popolare quotidiano “Bild” ha lanciato una petizione per stigmatizzare l’evidente sentore razzistico che promana dal richiamo nazionale scandito nelle manifestazioni, raccogliendo subito firme importanti in vari ambienti e in particolare quelli politici, sia socialdemocratici (Schmidt, Schröder), sia cristiano democratici (Schläuble).
E intanto ieri ha avuto luogo un incontro di vertici tra PEGIDA e l’Alleanza per la Germania, movimento di recente formazione, euroscettico e che, comunque, alle ultime elezioni tedesche ha ottenuto il 7% dei suffragi.
Questa storia del riemergere di iniziative e motivazioni, che – consapevolmente o meno – si richiamano alle idee trionfanti ai tempi del fascismo e del nazionalsocialismo, si ripropone a tempi ricorrenti (e ravvicinati) e trova riscontro anche al livello popolare, oggi soprattutto in connessione con i problemi dell’immigrazione. Essa riemerge perché i grandi processi storico-politici posti in atto nel secondo dopoguerra contro il fascismo e il nazismo hanno continuato ad avere come terminale la nazione: a un riferimento della nazione che portava alla conclusione autoritaria se ne è sempre contrapposto un altro di piena legittimazione della nazione democratica.
Si deve allora gettare alle ortiche l’idea stessa di nazione? Sarebbe un errore imperdonabile, perché la stessa democrazia ha bisogno di un ancoraggio sociale, fondato su un tessuto storicamente costruito di sentimenti, di idee, di affinità, di linguaggio, di volontà di vivere insieme e di costruire insieme un possibile futuro. Ma le nazioni le nazioni europee, vanno analizzate nei tratti comuni e in quelli peculiari di ciascuna in particolare, muovendo dalla considerazione che esse sono venute in essere proprio nel momento in cui esplodeva la domanda di libertà e per conquistare spazi di libertà, e hanno finito con il ritrovarsi poi cento anni dopo sulla sponda opposta.
Una storia ragionata di questa evoluzione, di quel processo attraverso il quale dalla concezione liberale della società e dello stato si arriva agli autoritarismi del secolo ventesimo, delle ragioni e degli eventi per i quali la nazione liberale diventa il nazionalismo fascista non è stata scritta, come non è stata scritta quella del secondo dopoguerra che registra il progressivo reinsediamento dei vecchi stati nazionali, con tante delle magagne che si tiravano dietro e con l’inesorabile decadimento che li accompagna; e, ovviamente, tendono a riprodurre gli errori del passato.
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