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27/12/24 ore

Immigrazione, la "mentalità svedese" fa i conti con una realtà non prevista


  • Silvio Pergameno

Nel giro di pochi giorni tre attentati sono stati messi in atto nella democratici sisma Svezia contro gli edifici di culto musulmani, anche se fortunatamente a causa di uno solo di essi ci sono stati alcuni feriti; le accuse piovono contro i "Democratici", partito di estrema destra accusato di filo nazismo, che si rivela in continua crescita (oggi é a oltre il 10%), mentre dopo il governo conservatore anche quello socialdemocratico appare in difficoltà a governare; e il problema immigrazione é divenuto il più centrale nel dibattito politico, anche perché l'immigrazione in Svezia é fortissima.

 

Gli attentati hanno suscitato risposte adeguate al notorio livello di democrazia del paese e gli stessi “Democratici” hanno condannato i fatti. La realtà è però che lo stato, (che pur annovera meno di dieci milioni di abitanti e possiede una forte tradizione democratica e socialdemocratica), di fronte al problema nuovissimo del crescere di una massiccia componente della popolazione di altra, e molto diversa, appartenenza religioso-politica, etnica e per i costumi e comportamenti sociali (già nel 2005 i musulmani erano il 4% della popolazione), si sta rivelando privo di strumenti per affrontare la nuova situazione, mentre poi – come si ricava da un intervento redazionale del Foglio di ieri 3 gennaio 2010 -, la massa dei nuovi arrivati comincia destare preoccupazioni diffuse tra i cittadini, perché si prevede un forte aumento di nuovi arrivati nel prossimo futuro.

 

Lo stato svedese, come del resto quelli degli altri paesi europei, è stato costruito su premesse politiche, strutturali e anche culturali strettamente nazionali; non sembra che in qualche modo gli svedesi abbiano potuto pensare che la loro democrazia potesse soffrire per essere costretta nei limiti nei confini dello stato. Ma il problema di fronte al quale essi si trovano oggi davanti (come del resto molti degli stati del continente) è di tale portata che esso supera le possibilità di congrue soluzioni per qualsiasi altro paese europeo.

 

Milioni e milioni di esseri umani premono sull’ Europa dall’Africa e dal Medio Oriente, non solo per emanciparsi da condizioni di vita non di rado ai limiti della sopravvivenza, ma spesso per far salva la vita di fronte al dilagare di massacri etnico/religiosi di portata incalcolabile.

 

In questi vastissimi territori c’è il problema di circoscrivere le situazioni più esplosive, che è un po’ una premessa di carattere generale, ma insieme c’è quello dei rapporti con le classi politiche e quello di sviluppare condizioni economiche che consentano a decine di milioni di esseri umani di uscire da con dizioni di vita inaccettabili, tutte componenti indispensabili per rendere possibile l’attenuarsi della spinta migratoria. Potrà essere questa la spinta che spinga gli europei ad aprire gli occhi davanti alla realtà?

 

 


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