L’impianto costituzionale italiano è concepito per una legge elettorale proporzionale. Cambiare le leggi elettorali senza intervenire sull’impianto costituzionale si è, infatti, rivelato del tutto inutile (se non dannoso) tanto ai fini della governabilità, che della rappresentatività.
Oggi si continua a perseverare nell’errore, iniziato ai tempi dei referendum voluti da Segni: dal Mattarellum che adottò l’uninominale a metà, consegnando ai soli partiti la scelta delle candidature nei vari collegi e mantenendo una quota proporzionale, al Porcellum del premio di maggioranza con liste dei candidati bloccate, abbiamo avuto una sequenza di assemblee parlamentari che non rispecchiavano affatto la volontà che i cittadini esprimevano con il loro voto. A dimostrarlo basta il semplice raffronto tra i voti di lista assoluti e i seggi acquisiti dai gruppi politici alla Camera e al Senato.
Oggi, il segretario del PD torna a porre al centro dell’agenda politica l’ennesima riforma elettorale, l'Italicum, che non perseguirà alcuno degli scopi dichiarati: non aumenterà il grado di rappresentatività, né tanto meno rafforzerà la capacità decisionale dei governi. Lo fa perché sa che, in campo economico e sociale, non può far passare alcun provvedimento che minimamente modifichi la situazione di un paese da tempo ingessato dal coacervo sindacal-burocratico-corporativo, di cui proprio il suo partito è principale espressione in Parlamento.
Concentrarsi sui sistemi di voto è utile per mantenersi al centro dei riflettori mediatici, ma non serve a un beneamato nulla per il paese. Se poi il premier pensa che costruirsi una legge elettorale a proprio uso e consumo possa garantirgli il successo alle prossime elezioni, questo ha più la sembianza di una mandrakata che non della visione lucida. Buona per le scommesse all’ippodromo, non per le condizioni sempre incerte e confuse dell’espressione del consenso in Italia.
Sembra chiaro, a questo punto, che l’attività prevalente sia soltanto quella di pestar l’acqua nel mortaio, una volta certificata l’assoluta incapacità o impossibilità a intervenire concretamente per la risoluzione delle questioni.
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