Non sono trascorsi sei mesi da quando il senatore a vita Mario Monti rivendicava a suo merito l'imposizione dell'IMU anche sulla prima casa, tanto da farne poi motivo di distinzione rispetto al governo Letta. A giustificazione della scelta il solito rimando alla condizione degli altri stati europei, che tuttavia dimostra di ignorare la natura particolare della situazione italiana dove l'80 per cento dei cittadini è proprietario dell'abitazione.
In Italia, l'investimento delle famiglie nell'acquisto di immobili ha rappresentato non soltanto una necessità dovuta alle carenze di una politica urbanistica che garantisse il diritto alla casa, ma soprattutto una forma di garanzia e di sicurezza.
Quanto ciò si leghi alla natura pre-moderna del nostro paese è facile da intuire, ma resta il fatto che tale è lo stato delle cose e far finta che possa essere diverso palesa non solo velleitarismo, ma qualcosa di peggio: un distacco dal reale che prescinde per stolta superbia tecnocratica dai bisogni e dai dati economici nazionali.
Come riferisce su la Stampa il sociologo Luca Ricolfi, "fino a pochi anni fa chi aveva una casa poteva pensare di avere una riserva di valore... Proprio per questo poteva permettersi di consumare, e qualche volta di indebitarsi per consumare". Aver aggredito con una patrimoniale la proprietà immobiliare diffusa, per di più contraddistinta da regole cervellotiche, ha determinato per tanto un grave cortocircuito che ha compromesso la disponibilità al consumo, funzionando così da freno a quella ripresa che pure si dichiarava (e tuttora si dichiara) di voler perseguire.
L'eccesso di tassazione sulla casa ha avuto una pesante ricaduta negativa sulla possibilità di crescita economica. Rileva ancora Ricolfi: "il risultato è che per raccogliere 10-15 miliardi di tasse in più abbiamo abbattuto il valore del patrimonio immobiliare degli italiani di un ammontare... che certamente è di un altro ordine di grandezza, diciamo almeno 30 volte maggiore".
Che a dirlo sia uno studioso come Ricolfi dovrebbe far riflettere, perché testimonia che la scelta avventata della patrimoniale sul mattone rispondeva più che altro alla ripicca politica e non all'avvedutezza di un governante attento alle dinamiche dell'economia reale.
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