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17/11/24 ore

Iraq: il devastante doppio effetto dell’interventismo di ieri e dell’abbandono di oggi



di Gianfranco Spadaccia

 

Stiamo pagando oggi il devastante duplice effetto dell’invasione decretata dopo l’11 settembre da Bush jr., senza alcuna alleanza con il mondo arabo e con decisioni internazionali estorte sulla base di documentazioni false, e dell’affrettato disimpegno deciso negli ultimi tempi dall’attuale presidente americano. Il costo non lo pagano soltanto il popolo iraqueno nelle sue tre componenti sciita, sunnita e curda.e in termini di massacro di massa caldei, cristiani di diverse confessioni, altre minoranze etniche e religiose. Lo ha già pagato e lo sta pagando l’intera comunità internazionale.

 

Il fallimento di quell’intervento neocon, che fu costruito sulla menzogna e sull’inganno in nome dell’esportazione della democrazia, ha comportato da allora in poi l’impossibilità di formare qualsiasi altra coalizione e di realizzare qualsiasi altro intervento militare per l’affermazione e la difesa di diritti umani fondamentali (oggi sono clamorosamente in gioco la libertà religiosa, i diritti delle donne, i diritti delle minoranze) e della legalità internazionale.

 

La rapida caduta di Gheddafi e ciò che è accaduto in Libia ci avevano anticipato ciò che poteva accadere in tutto il Medio Oriente dopo le cosiddette primavere arabe e che poi è effettivamente accaduto prima in Siria e poi in Iraq. Il combinato disposto della no fly zone, di un intervento condotto solo dal cielo con aerei e droni, e della fornitura di armi ai ribelli ha creato una Libia ingovernabile, devastata dalla guerra per bande dove giocano un ruolo determinante fondamentalisti e jihadisti di tutte le risme.

 

E’ stato assolutamente sensato non ripetere lo stesso errore in Siria. Non si trattava solo di far fuori il dittatore Assad come è accaduto a Gheddafi (ed è sempre sbagliato "far fuori" importanti testimoni degli avvenimenti e della politica internazionale non solo di quei paesi: ricordate "Nessuno tocchi Saddam"?), ma di preoccuparsi del dopo Assad (come sarebbe stato opportuno fare e non si è fatto per il dopo Saddam e il dopo Gheddafi).

 

Ho letto che perfino nel mio Partito Radicale qualcuno rimprovera a Emma Bonino, ministro degli esteri del Governo Letta un presunto "pacifismo" per aver contribuito a dissuadere Gran Bretagna e Francia dal ripetere l’errore libico nell’evidente impossibilità di assicurare un intervento internazionale capace insieme di deporre il governo Assad, di isolare e sconfiggere fondamentalisti e terroristi e assicurare un transizione il più possibile democratica per assicurare la convivenza delle diverse componenti del popolo siriano.

 

Come sempre la contrapposizione non è fra pacifisti e interventisti ma fra soluzioni sensate e davvero praticabili e che assicurino il meglio e non il peggio per quei popoli martoriati e per la comunità internazionale e soluzioni apparentemente poco costose ma improvvisate e sostanzialmente avventuriste. E per quanto riguarda i facili polemisti che si agitano al riparo delle mura domestiche la demarcazione  semplicemente è fra intelligenti e non.

 

Dobbiamo purtroppo fare i conti da una parte con l’eredità di Bush (e di Blair e, anche se molti preferiscono dimenticarlo, di Berlusconi e del ruolo che ebbe proprio nel riannodare i rapporti fra USA e Gheddafi, alla vigilia di quella riunione della Lega Araba che avrebbe potuto rendere ufficiale la proposta dell’esilio di Saddam) e, dall’altra, con il disimpegno di Obama e le sue tentazioni neoisolazioniste (mascherate da multipolarismo).

 

Ieri in un editoriale del Corriere della Sera, l’Ambasciatore Sergio Romano ha osservato come, anche nella disastrosa situazione attuale, i nuovi pericoli e i possibili devastanti equilibri che si prospettano nell’immediato futuro abbiano creato nuove, positive e in gran parte inedite possibilità di grande coalizione occidentale e inter-araba con l’Egitto del nuovo regime, la Turchia di Erdogan (preoccupata di ritrovarsi a fianco il nuovo califfato islamico) e l’Iran, che deve farsi carico delle minoranze sciite non solo dell’Iraq.

 

Già, l’Iran. Forse non era del tutto "priva di visione" la politica di Emma Bonino quando da ministro degli esteri si batté per la partecipazione del governo iraniano al tavolo di Ginevra e mise il foulard in uno sforzo di dialogo quando si recò in quel paese per sondarne (anche per conto dell’UE e degli Usa) le intenzioni e le disponibilità.

 

 


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