Riscrivere l'Italia: è questo l'impegnativo compito che si sono proposti alla convention de «la Repubblica», tenutasi dal 5 all'8 giugno al Teatro San Carlo di Napoli. Un'adunata di tutto il mondo orbitante attorno al giornale di Carlo De Benedetti, che presenta tutti i crismi del congresso politico. Al contrario di quanti tendono a contestare che un organo di informazione si trasformi in "partito", pensiamo che sia del tutto legittimo formalizzare in quella sede il ruolo da esso rivestito nello scenario italiano.
Ma detto questo, ne consegue che l’iniziativa non va trattata semplicemente come “evento culturale” o kermesse editorial-giornalistica. Se ne deve, invece, discutere proprio politicamente, evidenziando quanto poco convincenti risultino messaggio ed azione che emergono dall’interno di tale “partito”.
Il primo elemento critico consiste nell’essere un caposaldo della “dissimulazione” (quanto onesta è tutto da vedere) che contraddistingue la vicenda politica del Paese. La preoccupazione primaria resta piuttosto la preservazione, che non il cambiamento nel profondo. Da questo punto di vista, la “finzione” del mutamento rappresenta il principale ostacolo verso l’attivazione di un reale processo riformatore.
Lo si comprende da più fattori. A cominciare dalla centralità data alla “questione morale”, svincolandola dalla “questione liberale” irrisolta in Italia: non è pensabile combattere seriamente la corruzione se si lascia invariato l’humus dal quale essa si alimenta, vale a dire la pervasività di un sistema politico ed economico dove le leggi cambiano continuamente, la giustizia si basa su una loro variabile interpretazione e ogni iniziativa o lavoro risponde non ad esigenze obiettive, ma a quelle dei suoi compartecipi. Senza svolta liberale, condannata al principio secondo cui “tutto è vietato, tranne ciò che è concesso” dalle autorità, cui è demandato un ruolo abnorme l’Italia non può scorgere vie d’uscita praticabili.
Altrettanto può dirsi della pervicace difesa di una Costituzione che lascia ampio spazio a un assemblearismo confuso e irresponsabile, senza garantire alcuna capacità decisionale. È chiaro che si tratta di scelte non casuali, ma che rispondono alla precisa volontà degli esponenti del partito di Repubblica di non mettere in discussione situazioni dalle quali essi per primi traggono vantaggio, in termini di capacità di condizionamento ed esercizio di potere. Esecutivi responsabili ma legittimati dalla sovranità popolare e organi legislativi che esercitino un effettivo controllo, creerebbero istituzioni dinamiche dove sarebbe più difficile la pratica della consociazione e del capitalismo di relazione.
Dietro la maschera dell’adesione al cambiamento – che vesti i panni di Renzi o di altri – si scorge dunque una forte componente restaurativa, che opera in modo difforme dalle necessità del Paese.
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