In occasione della Conferenza tenutasi il 13 maggio sul rinnovo della convenzione della Rai con lo Stato che scadrà nel 2016, la Presidente Tarantola, sfoggiando le sue competenze per forza di cose forse più orientate alla gestione di un bilancio bancario che di un network televisivo ha tracciato un quadro puntuale della situazione in cui si va a innestare quella che dovrebbe essere la "mission" di un broadcaster che fa un "Servizio Pubblico", quali sono le sfide che lo sviluppo tecnologico, sociale e culturale pone innanzi e quali i passi da compiere in questa direzione per fare in modo che l’esistenza stessa della Rai sia giustificata.
La domanda di base, sicuramente estremamente importante, è a cosa serve la Rai e cosa dovrebbe fare?
Dopo anni di monopolio della comunicazione in cui, di fatto, la Rai ha creato ed imposto un substrato linguistico e culturale che fosse funzionale agli interessi internazionali su di un paese che dal 1861 non era ancora riuscito ad esistere davvero e che sotto molti aspetti ancora non esiste, oggi ci si chiede, davanti alla pluralità interattiva dei flussi informativi che si interconnettono nel Web, che spazio potrebbe occupare nel settore sempre più europeo e mondiale del broadcasting un network come la Rai.
Un mezzo che nella sua stratificazione di media di regime e nelle forme più pure del parassitismo partitocratico è servito da sfogatoio e sversatoio per mantenere quel costante avvelenamento lobbistico-clientelare che ha tracciato il profilo culturale del blocco informativo incompetente, conservativo e falsificatorio italiano.
Un memotipo che si è riprodotto con successo nei network privati ricreando, di fatto, il monopolio culturale appestante che ha generato la società da ingegneria sociale in cui ci troviamo oggi in Italia.
La risposta della presidente al perché ed al percome della Rai –Servizio Pubblico è interessante tenendo presente la storia e l’antropologia della Rai stessa.
Si prospetta un network economico, senza sprechi, con un uso competente e diversificato delle tecnologie che la Rete mette a disposizione, un network che promuove la cultura, rispetta la molteplicità delle voci, da spazio all’interattività si pone a difesa dell’informazione corretta, verificata ed approfondita, diviene il luogo dirimente in cui, fuori da logiche di mercato e di share si fa buona informazione e diffusione di contenuti ad alto gradiente educativo e culturale, senza spettacolarizzazioni o tendenziosità e contemporaneamente senza forzature culturaliste e pedagogiche… in poche parole una cosa che non esiste in questa sua forma così pura in nessuna parte del mondo e che nel mondo, ovunque sarebbe più realizzabile che in Italia.
La presidente conclude poi il convegno con un concetto importante quanto suggestivo: il cambiamento come adattamento alle sfide che il futuro impone. "Il cambiamento è importante perché ci chiede di riflettere sui successi del passato ed essere capaci di affrontare il nuovo".
Peccato che si considerino i successi ignorando le responsabilità enormi che il "sistema Rai" ha nella deriva del paese, peccato che nei decenni la Rai stessa sia stata uno strumento spietato di sradicamento di quei germi del cambiamento che pure erano presenti nel tessuto sociale ed hanno portato i pochi faticosi progressi nelle libertà civili, peccato che la Rai ancora meno degli altri altrettanto ottusi e conservativi media italiani sia sempre stata il network del Mainstream e della conservazione per eccellenza su cui le novità potevano arrivare solo dopo un lungo percorso di consolidamento che le aveva già rese vetuste e sterili o stupide e volgari.
Per riprendere ancora le parole della Tarantola "Non essere succubi del cambiamento ma attori di esso": sarebbe interessante vedere nella pratica questa Rai del futuro ma rimaniamo ancora abbastanza preoccupati dalla prospettiva di vedere i prodotti della Rai del passato essere gli attori di un cambiamento che, in quel caso, non potrebbe essere altro che un ulteriore, pur se difficile dato il punto di partenza, peggioramento.
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