Tutto si tiene e due argomenti apparentemente lontani si rivelano invece due parti o forse, meglio, due aspetti di una situazione politica che deve essere vista nel suo complesso e che, al fondo tuttavia, ruota attorno a una sola questione: quale ruolo svolge la Germania in Europa?
Sia ben chiaro (anche per non voler banalizzare): chi scrive è perfettamente convinto della risistemazione democratica del grande stato dell’Europa centrale, un processo che ha profondamente coinvolto il paese al livello di classe politica, del pensiero economico che ha sostenuto la ricostruzione postbellica ma non meno della cultura, sia ai massimi livelli delle espressioni filosofiche ed antropologiche (la c.d.Scuola di Francoforte in primo luogo o la miglior cinematografia dei Fassbinder, Wenders, von Trotta…), ma non meno al divello popolare diffuso.
Infatti, con la rivisitazione della coscienza nazionale che si è innestata sul movimento del "sessantotto", la rivolta dei figli contro i padri ha coinvolto gli attori non soltanto al livello dei rapporti familiari, scolastici e in genere sociali e istituzionale, ma ha rimesso in discussione il passato nazista e l’ampio sostegno di cui esso godette nel paese.
E giunti a questo punto, in genere per quanti si sono occupati e si occupano del problema il discorso finisce qui, quando non banalizza, come accennavo, in superficiali constatazioni del genere: tanto nulla cambia e la Germani resta sempre la stessa.
Invece il discorso, soprattutto oggi, comincia proprio qui.
Perché, e con gravissime colpe da parte della Francia e della Gran Bretagna, la questione tedesca la si è fatta svolgere e maturare come un problema interno della Germania, laddove il problema era europeo, interessava tutti noi.
E ciò non soltanto perché nella genesi del nazismo, soprattutto al livello popolare, gli errori della pace di Versailles hanno avuto un ruolo del massimo rilievo (le pesantissime riparazioni belliche hanno imposto sacrifici inumani alla massa della popolazione affamata da un’inflazione con percentuali a due zeri, un accaduto che ancora ha ripercussioni in Germania, anche agli alti livelli), ma perché il fascismo ha investito tutta l’Europa (tranne l’Inghilterra, dove la democrazia è lentamente cresciuta nei secoli con la coscienza nazionale e la monarchia è stata limitata sin dal secolo dodicesimo).
La Germania è così rimasta sostanzialmente sola con se stessa e gli altri paesi di quella che allora si chiamava Comunità europea hanno pensato soltanto a cercare di contornarne la ripresa, utilizzando a questo scopo anche il processo di integrazione europea, concepita non come apertura al futuro democratico del continente, ma con due funzioni limitate e concepite in un logica "statale" di altri tempi: una di contenimento dell’URSS – insieme alla NATO – e l’altra come una sorta di sorveglianza sui tedeschi.
Così i tedeschi sono rimasti condizionati dalla loro stessa dimensione di stato nazionale e come tali si sono quasi forzatamente comportati: in nome dell’unità del paese hanno realizzato la riunificazione e impostato tutto l’andamento politico successivo alla caduta del Muro di Berlino. Con indomita volontà di lavorare e di crescere, ma anche internamente corrosi dalla tara del passato, che ne ha condizionato lo slancio politico, la volontà di compiere un salto di qualità al livello europeo per il timore di nuove, rischiose responsabilità.
Sin dal dopoguerra la Germania si era data una costituzione federale, aveva accettato un ordinamento europeista di prossimità stretta con l’occidente e aveva impostato la ricostruzione economica con criteri profondamente ispirati al cosiddetto "ordoliberalismo", liberalismo economico (conti in regola, mercato, concorrenza, niente – o poche - nazionalizzazioni…), ma non liberismo senza regole e senza freni: la ricetta che era (ed è) nei nostri programmi di sinistra liberale.
Il tutto nell’ambito dello stato nazionale (o meglio della nazionalità statizzata): non ne è venuta fuori una Germania nostalgica dell’hitlerismo, ma una Germania che svolge una sua politica di potenza (ineliminabile nell’ambito di uno stato nazionale) con mezzi economici. Come la Russia, allora? :No, come la Francia o l’Inghilterra, maglio; con le conseguenze che sono sotto i nostri occhi.
In tale contesto l’incontro con la Russia era fatale: territori immensi, risorse naturali sconfinate, la porta dell’Asia spalancata e così oggi i rapporti tra i due paesi sono strettissimi: seimila e più imprese tedesche impiantate in Russia, investimenti di capitali da una parte e dall’altra, il 36% dell’energia consumata in Germania viene dalla Russia (dove l’ex cancelliere Schröeder è ai vertici della famosa Gazprom e in questi giorni festeggia il suo compleanno a San Pietroburgo con l’amico Putin), il gasdotto Nordstream in costruzione collegherà direttamente Russia e Germania e cosi Southstream con l’Europa del Sud (e poi soprattutto Ucraina, Repubblica Ceca e Slovacchia e Svezia e altri sono molto dipendenti dalla Russia per l’energia; l’Italia per il 28%), la Volkswagen aprirà una fabbrica in Cina e la Cina sarà collegata per via ferroviaria alla Germania (e fino a Rotterdam) affidandosi il progetto all’Eurasia Rail Logistics, nuova grande società russo-tedesca per ammodernare la transiberiana almeno da Mosca a Irkutsk (circa seimila chilometri) e poi collegarsi a Pechino (circa altri duemila) con una linea ad alta velocità (acciai forniti dalla Siemens che già fa affari con la Russia per 2 miliardi di dollari), la possibilità cioè di trasportare via terra 400.000 tonnellate di merci all’anno e via dicendo….
La Germania, ma anche tutti gli altri paesi europei (e non un vero e grande continente europeo all’altezza dei tempi) non possono staccarsi dalla Russia, perché si sono impegnati su una strada senza ritorno, almeno per un bel pezzo di tempo, nel corso del quale può succedere di tutto. E’ la Germania dell’austerity a ogni costo e che si barcamena sull’Ukraina: il tutto legato a una certa situazione economica che consente anche alla Russia una buona dose di divide et impera, di impadronirsi della Cecenia e di stringere Kiev.
La guerra? Forse non è da mettere nel conto, perché danni irreparabili minaccerebbero entrambe le parti e oggi poi l’uso della "forza" si esercita sul terreno economico. Il celebre uomo politico e scrittore francese della Restaurazione Benjamin Constant lo aveva detto duecento anni fa: il progresso economico può darci adesso (cioè al suo tempo) quello che le guerre ci davano prima.
Non è andata proprio così, ma certe intuizioni hanno bisogno di tempo. E c’è dell’altro. Angela Merkel è in contatto stabile con Obama e il discorso sanzioni non è affatto abbandonato: rapporti economici di ampia portata sono in atto tra Russia e Germania, non privi di un significato strategico; i diplomatici russi all’ONU hanno chiesto e ottenuto una riunione urgente del Consiglio di Sicurezza, dove è auspicabile si svolga la partita di pugilato. C’è da augurarsi si tratti di una ripartenza, non trascurabile dopo gli scontri sul campo ieri a Sloviansk e Odessa.
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