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16/11/24 ore

L’Europa e la crisi


  • Silvio Pergameno

Tra poco più di un mese gli europei sono chiamati alle urne per le elezioni europee in una condizione molto difficile: non si intravedono nei propositi dei governi soluzioni per la crisi economica fornite di un sufficiente grado di attendibilità, mentre soprattutto acquista nell’opinione pubblica sempre maggiore credibilità la tesi per la quale tutti i danni starebbero nell’euro e quindi la prima cosa da fare sarebbe di uscire dalla moneta unica.

 

Una proposta giudicata folle da Romano Prodi (intervista a Repubblica del 31 marzo u.s.), per la svalutazione immediata dei nostri titoli del debito pubblico con interessi a livelli inimmaginabili, stato al collasso, banche fallite, dazi contro le nostre merci…perché le politiche in atto in Italia, ma non meno in Francia, non hanno finora prodotto risultati confortanti.

  

Lo stesso scontro fra sostenitori dell’aumento della spesa pubblica finanziata a carico del debito pubblico e sostenitori dell’opposta politica economica di pareggio dei bilanci degli stati e di contenimento del debito pubblico entro limiti da rispettare rigorosamente non appare in grado di portare a scelte definitive, con la conseguenza che le proposte più avanzate si riducono a suggerire contemperamenti tra i due indirizzi, che hanno tutta l’aria di mezze misure, mentre gli unici provvedimenti incisivi appaiono quelli che arrivano dalla Banca Centrale Europea, che ha iniziato a funzionare come prestatore di ultima istanza, una misura che ha tranquillizzato i mercati, e ora si avvia a iniettare mille miliardi di euro nel’economia europea per l’acquisto di eurobond (che peraltro resta sempre una forma di deficit spending).

 

C’è, peraltro, un’altra iniziativa in corso d’opera, di natura diversa e mirante ad aprire prospettive diverse direttamente all’economia produttiva e commerciale, alla domanda e all’offerta dei beni ed è la proposta di Obama di dar vita a un’area di libero scambio tra le due sponde dell’Atlantico, una proposta della quale si è parlato poco, ma di portata vastissima e per la cui realizzazione le prospettive appaiono avanzate, tanto che si profila la creazione di un vero e proprio mercato unico tra l’area del dollaro e quella dell’euro.

 

Si profila cioè la creazione di una struttura economica reale ampia e forte di tutti i paesi democratici, nei quali esistono strutture di welfare a tutela del lavoro e nel cui ambito, tra l’altro, potranno anche essere affrontati in comunanza di interessi tanti dei problemi sollevati dalla globalizzazione. Ancora due anni fa (in un articolo sul Foglio del 25.2.2012) Paolo Savona individuava le conseguenze dell’essersi affrontata la globalizzazione dei mercati con strumenti finanziari, tra l’altro privi di regole e accordi internazionali.

 

Rilevava l’economista che con la globalizzazione si era prodotta una caduta dei profitti reali e si era tentato di sostituirli con rendite finanziarie per fronteggiare la fuga di capitali verso le aree a bassissimo costo del lavoro e prive delle provvidenze dello stato sociale, con conseguente esplosione della disoccupazione. Gli Stati Uniti hanno inondato se stessi e il mondo di dollari e di derivati; in Europa c’è stata una creazione eccessiva di debito pubblico. Ha trionfato il vecchio capitalismo che ha trovato la formazione dei maggiori profitti nello sfruttamento del lavoro dei paesi arretrati e il mantenimento della base del consenso nell’ inondazione finanziaria. Con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti.

 

La  creazione di un mercato atlantico pone basi reali forti per la produzione e lo scambio di beni e quindi per il superamento di un’economia dominata dalla finanza, che dimostra ogni giorno di non essere in grado di venirne in capo in maniera sicura e convincente della crisi che da anni affligge i nostri paesi.

 

Un percorso lungo, ma già il solo intraprenderlo rappresenta una spinta verso quella fiducia che sta sempre alla base della tanto sospirata crescita. Sono queste comunque le strade da seguire  e le prospettive da contrapporre alle demagogie che si stanno diffondendo e possono arrecare danni incalcolabili al nostro futuro.

 

 


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