Quale sia l’intenzione di Matteo Renzi è chiaro: scaricare su ogni opposizione al suo governo la qualifica di conservatore dello “status quo”, e quindi sottrarle il consenso di un elettorato che anela al cambiamento.
Evidentemente il primo obiettivo è il Movimento 5 stelle, che viene così scelto come principale antagonista da confinare nel prossimo futuro in un ruolo del tutto ininfluente politicamente. L’operazione consiste, di fatto, nel ricreare le stesse condizioni del “bipartitismo imperfetto” descritto da Giorgio Galli, riferendosi al sistema politico della Prima Repubblica: in quel caso, alla Democrazia Cristiana si contrapponeva un Partito comunista che era escluso dall’area di governo dal fattore K, rendendo impraticabile una reale democrazia dell’alternanza.
Oggi, l’allestimento della rappresentazione prevede di affidare al movimento grillino il ruolo catalizzatore dello scontento, non privandolo delle luci della ribalta, ma facendo assumere esclusivamente al PD la parte del governante. Qui, prima ancora che nel personalismo o negli interventi sulla Costituzione, è rinvenibile il limite profondo della strategia renziana e – con essa – del sistema politico italiano nel suo complesso.
Non è cioè previsto alcun vero ricambio alla guida del Paese e ci si muove nella logica di ruoli fissi, dove l’unica dialettica ammessa è quella consociativa e compromissoria di sempre. Uno è sempre al governo, l’altro sempre all’opposizione e tutt’al più al secondo si concede, di volta in volta, ora un potere di veto ed ora una spartizione di spoglie.
Divisi ma uniti, a riconfermare un sistema che – tuttavia – è privato delle ragioni che lo hanno sorretto in passato. Riproporlo oggi testimonia soltanto la presenza nella classe dirigente di tossine venefiche per la democrazia, le quali a quanto sembra sono difficili da estirpare una volta per tutte.
Se un tempo la “democrazia conflittuale” era apertamente respinta in nome del consociativismo, capace di anestetizzare le dinamiche presenti nella società, oggi nessuno mostra di opporsi alla obbligatorietà del confronto/scontro politico. Peccato che mentre lo dichiarano, si preoccupano in primo luogo di determinare le condizioni per renderlo impraticabile.
E così, di qui a qualche settimana, vedremo un Grillo sempre meno “eversivo”, oggetto privilegiato della polemica renziana così da assicurargli costante visibilità e rilevanza; con la Lega nei panni del vilain e Forza Italia ridotta – se va bene – a terzo incomodo, pronta per essere affettata come uno spezzatino.
A quel punto, si conta di assistere al ricompattamento delle forze in campo, secondo i criteri sopra descritti, dove i vari interpreti indossano i costumi tipici delle rispettive maschere indossate sulla scena: da un lato il “bravo governante”, tanto ipercinetico da rimanere sempre nello stesso punto e – dall’altro – l’oppositore “rappresentante la ggente”, tanto vociante da confondersi con un rumore di fondo.
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