A due anni dalla sua scomparsa, pubblichiamo un articolo di Maurizio Mottola, psichiatra, psicoterapeuta e collaboratore storico di Quaderni Radicali e Agenzia Radicale.
Partiamo da una impostazione non moralistica dell'aborto. Esso scaturisce da una gravidanza indesiderata, cioè da un "errore sessuale della coppia". Questo errore sessuale, inteso come agire culturalmente inadeguato sull'intreccio naturale sessualità-riproduzione, non è stato in effetti analizzato del tutto compiutamente in quanto falsato contemporaneamente da una visione moralistica da un lato e da una visione pietistica dall'altro.
L’aborto conserva notevoli elementi di sacralità perché in realtà è la sessualità a conservare forti connotazioni di sacralità, di fantasia, di onnipotenza. Dietro lo schermo dei valori hanno sempre agito sentimenti ed equilibri emozionali del maschio invidioso ed impotente nei confronti della riproduttività della donna, per questo l’autogestione della potenzialità riproduttiva sia attraverso la contraccezione che l’aborto è stata ritenuta intollerabile dai valori dominanti: in Italia si è avuta la prima legge sul divorzio nel 1970 e poi nel 1971 la liberalizzazione degli anticoncezionali.
Che l’aborto abbia a che fare ancora con il codice penale è l’attestazione del controllo sociale sul porsi antropologico dell’uomo nei confronti della donna. La società si regge ancora sullo scambio ordinato delle donne diretto dagli uomini. È intollerabile per questo tipo di società che ella voglia sottrarsene attraverso una propria gestione della sessualità non ricattabile da norme e sanzioni penali.
La società delle leggi relegò a una sorta di “contrabbando” la storica scoperta contraccettiva del blocco dell’ovulazione: dall’inizio degli anni sessanta, data in cui è cominciata una significativa diffusione degli estroprogestinici in Italia, al 1971, data della dichiarazione di incostituzionalità della norma penale sulla propaganda e la diffusione degli anticoncezionali, era la regolazione del ciclo mestruale ciò che risultava.
Un decennio di regolazioni mestruali era il tributo di ipocrisia alle leggi scritte. In seguito, con gli anni di lotta per garantire il diritto a porre rimedio alle conseguenze indesiderate di una contraccezione inadeguata e del tutto mancante, si sono determinati sia gli elementi politico culturali (il movimento delle donne e dei diritti civili) che tecnici (il metodo Karman per aspirazione) per realizzare la depenalizzazione dell’aborto, ma il tutto è stato sacrificato per compromessi ed equilibri di potere: l’aborto di Stato continua ad esprimere il controllo sociale della maternità con l’iter penitenziale del colloquio e certificato medico, dell’attesa purgatoriale dei sette giorni, del tempio unico e monopolizzatore dell’ospedale, dell’obiezione di coscienza del personale sanitario.
Però tutto ciò si deve ora confrontare di nuovo con la ricerca medica che, dopo anni di sperimentazione cliniche, è pervenuta alla pillola RU486 per l’interruzione di una gravidanza iniziale. La pillola RU486 sottrae la donna all’opprimente gestione dell’aborto chirurgico con annessa ospedalizzazione, eventuale ricorso all’anestesia generale, continuo impatto emozionale con persone e strutture potenzialmente inquisitorie. In quanto autosomministrabile dalla donna circoscrive il ruolo medico all’assistenza degli eventuali scarsi effetti collaterali.
Ormai la ricerca medica, determinando le condizioni farmacologiche per la completa realizzazione dell’autodeterminazione della donna, si trova ancora una volta a giocare un ruolo sociale nello spiazzare nel suo cammino quegli assetti organizzativi dei rapporti tra Stato e cittadini e tra cittadini stessi basati sulla semplice istanza di controllo. Sono 34 anni che si parla di applicazione della legge194, unico caso che ha visto la nascita di comitati di attuazione. Già dal lontano 1978 noi radicali, studiandone l’impianto dicemmo che tale legge era inapplicabile.
Occorre indirizzare altrove le proprie energie, all’uso dei ritrovati della ricerca medica, ai nuovi contraccettivi, alle pillole del giorno dopo e dei cinque giorni dopo, all’RU486, ad una nuova campagna di disobbedienza civile. Nei fatti le donne lo stanno già facendo, la realtà corre più veloce dei minuetti compromissori dei nostri legislatori.
Maurizo Mottola
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