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16/11/24 ore

La morte di Loris D’Ambrosio. Il dolore di Napolitano e la "cultura" dell’insinuazione


  • Giuseppe Rippa

Si può comprendere lo stato d’animo e la profonda amarezza e inquietudine che attraversano il cuore del Capo dello Stato Giorgio Napolitano che, nell’apprendere della morte per infarto del dottor Loris D’Ambrosio, si è espresso con una fermezza pari al suo acuto dolore.

 

Il suo consigliere giuridico era stato nelle ultime settimane oggetto di una aggressione che ha spinto la massima autorità dello Stato a sottolineare quanto “ … atroce fosse il rammarico per una campagna violenta e irresponsabile di insinuazioni e di escogitazioni ingiuriose cui era stato di recente pubblicamente esposto, senza alcun rispetto per la sua storia e la sua sensibilità di magistrato intemerato, che ha fatto onore all’amministrazione della giustizia del nostro Paese”.

 

Parole durissime che portano a riflettere, considerando che tra coloro che si sono spinti contro il Presidente della Repubblica vi è il capo dell’Italia dei Valori Antonio Di Pietro che sul drammatico evento ha affermato: “ … Esprimiamo cordoglio e rispetto per la morte improvvisa del dottor Loris D'Ambrosio ma respingiamo con fermezza al mittente ogni strumentalizzazione che ne viene fatta, quasi a voler far credere che la colpa sia di chi ha criticato il suo operato e non di chi ha tentato di sfruttare il suo ruolo”. Con ciò confermando, al di là delle parole di circostanza, che il suo durissimo attacco è proprio contro il Quirinale, il suo legittimo rappresentante, i suoi consiglieri.

 

In molti sono intervenuti e non è il caso di ripercorrere le dichiarazioni che si sono sprecate nel riconoscere al magistrato morto le sue qualità di “infaticabile e lealissimo servitore dello Stato”. Ma restano, pure in un momento così drammatico, alcune riflessioni da fare.

 

Se il Presidente Napolitano, nella sua dichiarazione a caldo, è stato così categorico nel voler richiamare “ … la campagna violenta e irresponsabile di insinuazioni”, qualcosa dovrà pure dire. Se una magistrata come Ilda Boccassini ha voluto, in una intervista al TG7, ribadire che “ … D’Ambrosio ha salvato l’integrità della magistratura eppure è stato oggetto nelle ultime settimane di attacchi ingiusti e violenti”, qualcosa dovrà pure significare.

 

Bisognerà riflettere, quando sul piano psicologico si sarà placato l’impatto della morte improvvisa e inattesa del sessantaquattrenne consigliere giuridico del Colle, sul significato di quello che sta accadendo. A noi viene il ricordo di quanto proprio Ilda Boccassini pronunciò subito dopo la strage di Capaci “ … Voi avete fatto morire Giovanni Falcone … Voi lo avete infangato. Voi diffidavate di lui. E adesso qualcuno ha pure il coraggio di andare ai suoi funerali … “. E quanto il giudice Paolo Borsellino – prima di essere anch’egli barbaramente ucciso – aveva affermato “ … c’era chi aveva paura che Falcone diventasse ministro dell’Interno o superprocuratore…”.

 

Si è vero, si tratta di situazioni profondamente differenti, ma nutrite dalla stessa dialettica e dallo stesso stile all’insinuazione. Ma non si riesce a dimenticare quando proprio su “La Stampa” il 6 settembre 1991, Giovanni Falcone doveva difendersi dalle parole corrosive di chi lo “ … accusava di aver nascosto le prove sui legami tra mafia e politica e … di essersi fermato alla soglia del ‘terzo livello’ …”.

 

Questi sono i casi della vita. - rispondeva Falcone – Mi ero accorto da tempo che non tutti condividevano il mio operato, ma sinceramente non credevo si arrivasse al punto di accusarmi di seppellire le indagini … “.

 

Beato Paese, il nostro – scriveva Pirandello – dove certe parole vanno tronfie per via, gorgogliando e sparando a ventaglio la coda, come tanti tacchini”. …


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