Nella movimentata assemblea del Partito Democratico è intervenuto anche Giuseppe Civati, ex consigliere regionale in Lombardia e ora deputato. Il “giovane” democratico ha da tempo deciso di cavalcare l’onda del malcontento degli elettori di centrosinistra e in questo modo è riuscito, grazie a costanti critiche rivolte alla dirigenza del proprio partito, a costruirsi il ruolo di outsider, molto apprezzato dal cosiddetto “popolo della Rete”.
Una volta scagliata l’invettiva grillesca, tuttavia, “Pippo” non sembra in grado – come gli adepti dell’ex comico genovese – di fare quel passo in avanti, molto più impegnativo, che consiste nell’avanzare proposte concrete, in questo caso per delineare la strada che il suo partito, il Pd, dovrebbe intraprendere.
L’inconsistenza delle presunte posizioni riformiste del Pd e le sue strutturali contraddizioni sono stra-note, ma Civati, in risposta, quale alternativa propone? Domanda ancora senza risposta. Vano è stato anche il discorso tenuto oggi dal “ribelle” all’Auditorium della Conciliazione.
Non ci si aspettava, ovviamente, un discorso alla nazione, dato che sempre di un’assemblea di partito si tratta, ma da Civati e dal suo continuo rimarcare l’eterna baruffa sulle regole per le primarie ci si sarebbe aspettato, proprio nel giorno del trionfo di questa conflittualità interna, che fosse stato lui a decidere di portare i contenuti politici reali nel dibattito, quanto meno per distinguersi dalla massa.
E invece niente. “Bisogna discutere della sostanza”, dice in avvio del suo intervento Civati. Ciò nonostante, l’unico accenno palpabile è riservato alla legge elettorale, ma solo di sfuggita (“Qual è la legge elettorale che porteremo, quando?”). “Bisogna stabilire un percorso breve, concreto”, e ancora: “Parliamo del futuro e delle cose che possiamo fare assieme”. Giusto, ma anche questa volta nessuna idea di cosa, realmente, occorrerebbe fare.
E così il copione prosegue, con Pippo che chiede “una svolta deliberante” – ma per decidere cosa non si sa –, un “partito ospitale, razionale, comprensibile”. Perché, dice Civati con un pizzico di insano populismo di sinistra, “se non prendiamo più il voto degli operai, forse non è una grande idea andare alla corte di Marchionne” (ormai, anche lui, elevato a “mostro” della classe operaia).
“Noi dobbiamo essere l’alternativa, il cambiamento” ribadisce nuovamente Civati, con una considerazione che in realtà suona, paradossalmente, come un’autocritica. Infine un invito: “Leader, partito e proposta politica devono andare sempre insieme”.
Ora: il leader del Pd è un ex-sindacalista traghettatore a tempo determinato, il partito è dilaniato da lotte intestine tra correnti e la proposta politica, come apparso in modo evidente anche dall’intervento in questione, fatica ad emergere persino nelle sue forme più vaghe.
Insomma, non un buon inizio, ma per capirlo non serviva Civati, che intanto, imperterrito, sembra essere intenzionato a proseguire ancora per molto con il suo grillismo democratico.
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