Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

17/11/24 ore

Papa Francesco


  • Silvio Pergameno

Si è presentato con poche e soprattutto dimesse parole  questo membro della Compagnia di Gesù, che ha tenuto a qualificarsi come vescovo di Roma, cioè vescovo tra i vescovi, senza voler quindi rivendicare una particolare supremazia e richiamarsi a San Francesco cui il papa del tempo, Innocenzo III – uno dei più forti assertori della teocrazia pontificia – non volle approvare la famosa “Regola”, consentendogli soltanto di proseguire nel suo esperimento.

 

Sulla figura di papa Francesco si legge un po’ di tutto, ma sembra che l’attenzione principale verso un pontefice che ha voluto qualificarsi con riferimento al simbolo della povertà, della semplicità, della fratellanza con tutto il creato, dell’umiltà… debba concentrasi sugli interventi che vorrà adottare per una riforma della quale la Chiesa cattolica ha urgente necessità.   

 

Una riforma che è stata senza dubbio avviata, con il tutt’altro che trascurabile fatto che, dopo quattro secoli e mezzo, siamo alla terza elezione di un papa non italiano e che nel susseguirsi dei quarantacinque papi tutti italiani eletti tra il 1523 e il 1978, ben ventuno erano nativi dello Stato della Chiesa – considerando che papa Pacelli, nato quando ormai esisteva lo Stato italiano, era romano.

 

Tre papi non italiani e il terzo neppure europeo. Il papa polacco ha fatto il possibile per chiudere con il comunismo e ha combattuto la teologia della liberazione, soprattutto espressione del cattolicesimo populista dell’America che parla spagnolo e portoghese e che si è schierato a fianco dei movimenti comunisti, soprattutto in Nicaragua, dove non sono mancati preti che hanno preso le armi e hanno partecipato al governo sandinista.

 

Il papa tedesco in quest’opera ha collaborato con Wojtyla, anche con le armi della sua preparazione teologica, mentre adesso arriva un papa argentino, gesuita (e i gesuiti negli stati cattolici americani hanno una lunga tradizione e una forte presenza) e anche di sentimenti francescani, che con la teologia della liberazione non si è confuso, ma tenendo un atteggiamento di equidistanza.

 

Questo papa ha chiamato fratelli i cardinali che lo hanno eletto e che sono in numero di 58 europei, di cui venti italiani, e 34 americani, di cui 11 statunitensi; una deriva terzomondista non appare quindi probabile, mentre senza dubbio il rigore sui principi e sull’obbedienza al papa che caratterizza la Compagnia di Gesù unità alla adattabilità alle situazioni che ne ha contraddistinto la prassi e a una tradizione sempre di attenzione e anche di prossimità alla politica e all’opera dei governi (e anche diretta di governo) possono operare nella stessa direzione.

 

I gesuiti sono stati cioè l’asse portante della politica ecclesiastica nell’epoca moderna degli stati nazionali e possono esserlo adesso, nell’epoca (postmoderna) della crisi degli stati nazionali europei e dell’Europa nel suo complesso. Del resto anche il cardinale Carlo Maria Martini – molto apprezzato dei progressisti - con la sua problematicità e la sua ricerca di dialogo con chi la pensava – e la pensa - diversamente da lui, rappresenta l’indicazione della strada che la Chiesa deve seguire per non venire emarginata nel e dal mondo così detto moderno, che non sia quella, tangenziale, di non affrontare il problema di fondo, cioè, anche in questo ambito, di dover fare i conti sempre con il solito liberalismo.

 

Questo ha un nesso molto stretto con la faccenda dei papi non (non più) italiani. L’Italia ha un rapporto stretto con la cattolicità e il papato, perché la predicazione evangelica è diventata chiesa nell’impero romano.

 

E in Italia la Chiesa è stata chiesa in stretto legame con il potere temporale dei papi. E così tra i difetti di noi italiani c’è anche, ovviamente, quello di essere cattolici all’italiana e, in perfetta simbiosi, anche tra i difetti della chiesa cattolica italiana c’è quello di risentire della sua…italianità. Del resto quanti italiani di spirito riformatore non amano (anche a torto) riferirsi di continuo alle eccellenze di cui i paesi stranieri sono esempio e modello? 

 

E oggi così nel nostro paese ci troviamo con quattro crisi addosso: quella economico finanziaria-mondiale, quella del rattrappirsi dell’Europa, quella del nostro sistema politico e quella della Chiesa, che nel nostro paese ha una presenza rilevante e, sul terreno politico, perso il riferimento DC-unità politica dei cattolici, si trova sballottata tra il terzomondismo all’italiana (per l’appunto) della sinistra cattolica, componente residuale della via nazionale al comunismo in Italia di togliattiana memoria, e la religione (si fa per dire) instrumentum regni della destra che si sbraccia contro l’eutanasia, Englaro, il matrimonio gay, la vita e via dicendo…

 


Aggiungi commento