Per giorni, seguendo i telegiornali, si è avuta l’impressione che il segretario del Pd Pier Luigi Bersani inseguisse Beppe Grillo e il Movimento 5 Stelle. Un po’ come nel celebre paradosso di Achille e della tartaruga: per quanti sforzi Achille facesse (si pensi agli “8 punti” elaborati dalla Direzione del Pd), non erano mai sufficienti.
Come se mancasse sempre un qualche nono “punto” (non a caso suggerito da Matteo Renzi). Sì, perché all’inseguitore Bersani faceva da pendant il sindaco di Firenze. Non in nome di un “piano” alternativo, bensì all’insegna della “sfida a Grillo”. Insomma: “inseguimento” versus “sfida”. In ogni caso subalterni al M5S.
Perché è accaduto ciò? E perché non si è stati in grado di cogliere e rappresentare tempestivamente certe istanze? Perché porsi sempre come inseguitori?
In realtà, al di là delle piattaforme programmatiche, alle primarie del centrosinistra sia il segretario del Pd che Renzi hanno chiesto il consenso appellandosi alla propria abilità: abilità a “fare gruppo” e costruire una coalizione oppure a incarnare la “vocazione maggioritaria”. Nessuno dei due si è seriamente confrontato con la questione liberale, chiedendosi ad esempio: a cosa è dovuta la frattura fra politica e società?
La “società” ha sempre “ragione”, oppure alcuni dei mali che la attraversano e che tormentano il Paese – dalla corruzione al clientelismo, compreso quello “efficiente” – scaturiscono da intrecci perversi fra tanti cittadini e istituzioni, in senso lato? Qual è il senso profondo del mal funzionamento della pubblica amministrazione? Perché in altre realtà nazionali sia la politica sia la società sono più reattive dinanzi ai problemi? Come coniugare davvero libertà e responsabilità in campo economico, riguardo ai diritti e così via?
È ciò e altro ancora, per giunta, che corrispondono alla “questione morale” correttamente intesa. Sì, vi è un continuum fra le tre questioni: morale, liberale e democratica. Invocare la prima senza riuscire a contestualizzarla esprime un atteggiamento demagogico oppure un più profondo senso di impotenza. Come impotente è l’indignazione fine a se stessa.
Solo uno scatto politico-culturale deciso, senza tentennamenti e ambiguità, consentirebbe di iniziare a comprendere e aggredire i mali che ci affliggono. Altrimenti siamo destinati a un travaglio senza fine.
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