“Il Pd non c’entra un tubo di niente. Il Pd fa il Pd, le banche fanno le banche”. Queste le parole di Pierluigi Bersani per arginare sul nascere il ciclone Montepaschi abbattutosi nel bel mezzo della campagna elettorale.
Per chi non lo sapesse, la banca senese ha una voragine in bilancio ancora non ben definita. Una brutta storia di prodotti finanziari derivati, di investimenti sbagliati, di conti falsati e di documenti nascosti, sotto il controllo allegro degli organi preposti, Banca d’Italia in testa.
Sotto accusa è finita la gestione di Giuseppe Mussari, deus ex machina all’epoca dei fatti incriminati, sostituito nel frattempo da Fabrizio Viola e Alessandro Profumo,”grazie alle scelte coraggiose – sottolinea il responsabile economico del Pd, Stefano Fassina - compiute dal sindaco uscente Franco Ceccuzzi”.
E proprio su questo casca il famigerato asino, rivelando il punto dove la finanza s’incontra con la politica, grazie alle norme che consentono alle Fondazioni bancarie - i cui vertici sono di nomina politica - di controllare gli istituti di credito.
Nel caso del Montepaschi siamo poi di fronte all'emblematica rappresentazione di un modello che fa scuola e che, a memoria d’uomo, vede farla da padrone l’area politica facente capo al Pci-Pds-Ds-Pd.
“Abbiamo una banca!”, diceva per telefono Piero Fassino a proposito del tentativo di Unipol, poi fallito, di scalare la BNL. Per molti la frase ben si presterebbe alle vicende del Mps, più nota come la banca rossa per eccellenza.
Facile e scontato allora maramaldeggiare strumentalizzando a fini elettorali lo scandalo di queste ore. Molti lo stanno facendo, sparando anche qualche sciocchezza di troppo (vedi la storia del prestito con i Monti bond, diventato un contributo a fondo perduto con i soldi degli italiani) senza considerare le conseguenze disastrose di un eventuale fallimento della terza banca del Paese.
Il rischio è quello di perdere di vista i reali termini della questione politica di cui si dibatte da anni lontano dai riflettori delle prime pagine dei media. Vale a dire il ruolo anomalo delle fondazioni bancarie nel nostro sistema del credito e il controllo/influenza che attraverso queste la politica più o meno indirettamente esercita.
Proprio su questi aspetti sarebbe interessante sentire, sull’onda dell’attualità, le proposte dei candidati premier, per conoscere se c’è l’intenzione di rimuovere le incrostazioni del sistema. Invece, si assiste alla consueta bagarre a colpi di propaganda, in una gara a chi la fa più giusta, la morale.
E a proposito di morale e di puri moralizzatori, vale la pena fare un’ultima considerazione. In queste ore non pochi hanno ricordato quando, nella corsa alle primarie Pd, Matteo Renzi, reo di aver cenato con intraprendenti frequentatori del paradiso fiscale delle Isole Cayman, fu sottoposto a un fuoco di fila mediatico sapientemente diretto dalla nomenclatura del suo partito.
Bene, la prossima volta sarebbe forse opportuna una maggiore prudenza nel dare lezioni in proposito, soprattutto se poi si hanno gli armadi affollati di scheletri.
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