Contrariamente a quanto sostiene Pierluigi Bersani, l’ex premier Monti non va criticato perché “guarda dall’alto” il Paese e peccherebbe quindi di astrazione o velleitarismo. Tutt’altro che astratto, il professore ha dimostrato piuttosto di essere parte integrante della società delle conseguenze (più volte richiamata da Quaderni Radicali e Agenzia Radicale) nella quale si dibatte da svariati decenni l’Italia, condannata a un’oggettiva irriformabilità.
Proprio la sua salita in politica lo ha svelato, dimostrando le ragioni profonde della sostanziale irrilevanza in senso riformatore del suo governo.
Pur avendo goduto di un’occasione unica e di poteri che lo assimilano al cancelliere Bruning, della repubblica di Weimar, il governo Monti non ha sfruttato l’opportunità aggredendo i gangli di un sistema incancrenito dalle resistenze corporative. A dispetto della propaganda attuale, tanto lui che i membri del suo governo di quel sistema sono parte, costituendone anzi lo zoccolo duro insediato nei centri decisionali e burocratici, che prima ancora dei politici sono i veri responsabili delle scelte di governo di un Paese. E di certo non hanno fisime autolesioniste.
L’impegno in politica, preparato evidentemente da tempo, impediva loro di esercitare quell’azione riformatrice che oggi si dichiara come obiettivo primario. Se si è preoccupati di equilibri e alleanze, se dietro la retorica della società civile preme la difesa degli interessi di parte, di quale radicalità nelle riforme si può essere portatori?
Il limite della Lista Monti non è dunque tanto nella presunta “servitù” alle potenze estere, ma piuttosto nell’essere a sua volta l’ennesima emanazione di un’antipolitica tesa in primo luogo a preservare le soggettualità di un sistema di potere che non vuole affatto essere messo in discussione e che è pronto alle più spericolate mistificazioni per auto-conservarsi.
Da questo punto di vista, dimostra grande debolezza dialettica il PD quando esprime le sue timide critiche. Anche perché inficiate dalla già dichiarata disponibilità all’accordo, che in questi termini significherebbe la rinuncia alla sfida per un reale cambiamento dell’Italia.
Vorrebbe dire che la mancata assunzione della centralità della “questione liberale”, spinge inevitabilmente il centro-sinistra verso la deriva della conservazione dello status quo e gli fa ricercare una contro-alleanza di regime che può essere la pietra tombale di ogni progetto riformatore.
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