Quello ascoltato il 31 dicembre in tv è stato il ventunesimo messaggio dal Quirinale di un trio di presidenti votati sì da una maggioranza pro tempore dei parlamentari, ma espressione della minoranza del corpo elettorale. In questo senso, non si è discostato dalle linee di fondo che hanno caratterizzato i precedenti.
I loro punti di forza sono sostanzialmente tre: la riaffermazione delle prerogative assegnate dalla Costituzione alla Presidenza della Repubblica, in contrasto coi mutamenti derivanti dall’introduzione del sistema elettorale maggioritario; il conservatorismo immobilista degli ordinamenti costituzionali frutto della prassi consolidata, sotto le spoglie della necessità di larghissime convergenze per il loro cambiamento; una generica retorica di stampo solidaristico, unita alla magnificazione del processo unitario dell’Europa.
Quanto poi risulti contraddittoria la gelosa difesa del ruolo presidenziale, al di fuori di una legittimazione popolare, o insensato mantenere inalterato un ordinamento istituzionale palesemente inadatto ai tempi che viviamo, nessuno in questi ventuno anni è sembrato preoccuparsene più di tanto.
L’ultimo messaggio di Capodanno del presidente Napolitano merita, tuttavia, di essere esaminato anche alla luce della più immediata attualità politica. Una volta sfrondato da obblighi retorici e di convenienza, il discorso risulta abbastanza chiaro per quel che riguarda i giudizi del Presidente e le azioni che compirà nel prossimo futuro. Ovviamente, Napolitano non poteva rinnegare l’incarico di governo a Mario Monti e tanto meno la sua puntuale copertura di ogni atto governativo in questi ultimi mesi.
D’altro canto, che non tutto si sia poi svolto come egli prevedeva è dimostrato da alcune osservazioni di non poco conto. Vi è, per esempio, l’ammissione che le scelte di governo hanno contribuito “a provocare recessione”, preceduta dalla dura critica all’assenza di una politica industriale testimoniata dalla vicenda “dell’economia di un’intera regione… la Sardegna”, con l’evidente riferimento al caso dell’ALCOA e alla sua gestione da parte del Ministero dello Sviluppo.
Un altro passaggio significativo riguarda la demolizione della retorica dei cosiddetti “compiti a casa”, tante volte fatta propria dal premier Monti. Per Napolitano, all’Italia non può toccare il ruolo di “passivo esecutore” nel concerto europeo.
Inoltre, va notato che pur accogliendo positivamente le “energie finora non rivoltesi all’impegno politico”, Napolitano affida in primo luogo al voto del 24-25 febbraio il compito di indicare la guida del governo. Il che dovrebbe significare che l’incarico, secondo prassi consolidata, sarà dato in prima battuta al leader della formazione uscita vincente dal confronto elettorale. Che poi tale incarico sia quello definitivo è però tutto da vedere, perché – ricorda Napolitano – “non c’è nel nostro ordinamento costituzionale l’elezione diretta del primo ministro, del capo del governo”.
Contrariamente a quanto affermato all’inizio del discorso, da Napolitano sono venuti insomma tanto giudizi quanto precisi orientamenti sul da farsi. E si conferma il ruolo da protagonista nelle scelte politiche del Paese, ben al di là di quello del custode e del garante.
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