E così Mario Monti è giunto all’unica conclusione logica possibile, quella di esporsi in prima persona al giudizio dell’elettorato e di affrontare una campagna elettorale, che è da ritenere questa volta diversa da quelle alle quali siamo abituati da ormai troppo tempo: le evoluzioni che segnano i mutamenti nel corso degli eventi prendono corpo nei momenti difficili, e quello attuale è un momento difficile.
È difficile per le classi dirigenti dei paesi dell’Unione Europea, che fanno fatica a prendere coscienza del rischio al quale siamo tutti collegialmente esposti con il progressivo affermarsi di nuove grandi potenze e lo è per la classe dirigente del nostro paese in particolare, afflitti come siamo da una crisi finanziaria ed economica che suscita preoccupazioni molto serie e miete vittime mentre le forze politiche tradizionali della nostra nazione hanno perduto credibilità, sono travagliate da tensioni interne e stentano a delineare percorsi di governo all’altezza della situazione.
È in tale contesto che, accanto alle proteste per i sacrifici imposti dalla necessità di affrontare un debito pubblico abnorme, per la tassazione rafforzata, per la depressione incalzante, per la perdita di crescita, per l’aumento della disoccupazione, si è delineato anche un clima di attesa per quella che è ormai chiamata da ogni parte la “salita in politica” del premier dimissionario, da oggi parte attiva nella campagna per la prossima consultazione.
L’”Agenda” si colloca per forza di cose al centro dello schieramento, ma Monti non vuol essere un centrista, un cerchiobottista, anche se fans ne ha sia a destra che a sinistra tra i delusi dei due partiti maggiori; chiusura non c’è stata verso il PD, mentre c’è stata verso il PDL, ma il suo maggior sostenitore esterno è Pietro Ichino che il PD lo ha lasciato in questi giorni mentre le recenti primarie hanno rivelato la presenza di una forte componente in dissenso con Bersani, a sua volta pressato dalla sponda opposta del nuovo concorrente giustizialista. Sempre valida la vecchia formula del “nessun nemico a sinistra”?
Monti vuol essere un innovatore, scavalcando barriere e vincendo resistenze di lobby e corporazioni e di arcaiche forme di sindacalismo. E molti si chiedono se stia per presentarsi sulla scena nazionale una nuova DC, vista la benedizione giunta dal Vaticano. Monti nega e si è presentato in una forma che ha evidenziato la sua volontà di smarcarsi dal contesto nel quale si trova collocato.
Nella conferenza stampa di presentazione dell’”Agenda” non ha dato nessuno spazio a quanti lo contornano e ha detto chiaramente che le liste le farà lui; ha poi sottolineato che il movimento non avrà carattere confessionale, una dichiarazione che però non dice molto, perché anche la DC non era un partito confessionale.
Il passaggio merita un minimo di approfondimento. La DC è stata comunque un partito a intensa vocazione concordataria, carattere che non connotava – tra l’altro - l’originario partito popolare (e Sturzo pagò con l’esilio la sua opposizione al concordato), ma soprattutto è stata il partito che ha costruito un “regime” corporativo e consociativo attraverso la gestione del “blocco storico popolare”: è stata così mandata in soffitta la prospettiva rivoluzionaria del PCI, ma al prezzo della sterilizzazione di ogni prospettiva di democrazia avanzata e della distruzione dell’autonomia delle istituzioni, saccheggiate nella lottizzazione spartitoria della partitocrazia, alla quale va addebitata anche la formazione dell’iperbolico debito pubblico, fonte dei nostri guai presenti.
Tutto questo appartiene al passato mentre oggi si registra il disfacimento del “regime cattocomunista” a fronte del quale Monti sembra aprire a una forma di economia sociale di mercato, in un paese che non ha più la base agricola tradizionalista nella quale si innestava il vecchio popolarismo cattolico, mentre la Chiesa non riesca a imboccare la strada di una religione civile, portando i propri principi e valori in libero e aperto confronto con tutte le componenti della società, e soffre della crisi delle sua strutture tradizionali e della crisi delle vocazioni e si vede costretta a trincerarsi nel quadro concordatario degli accordi di potere con lo stato.
Per cercare di formulare qualche ipotesi circa le prospettive di Monti su questo terreno…minato occorre allora tener conto della posizione che lo vede strettamente ancorato al contesto europeo e al Partito Popolare Europeo (che, come è noto, ne ha sollecitato la candidatura alla premiership in Italia). E il Partito Popolare Europeo rappresenta un quadro politico nel quale sono presenti, accanto ai cattolici italiani, cattolici tedeschi e cattolici dei paesi dell’ex impero austroungarico oltre alle confessioni protestanti, componenti religiose nelle quali è presente un vivace dibattito intellettuale.
È allora a questo contesto complessivo al quale occorre fare riferimento nella ricerca di orientamenti interpretativi di quella che potrà essere la vicenda Monti e in fondo anche della sua stessa performance elettorale, che egli vuole legata a questo contesto, in un tempo politico che presenta dinamiche evolutive.
L’astensionismo elettorale, l’antipolitica montante, il populismo che non si limita al fenomeno Grillo ma investe anche i due partiti maggiori, le rapide vicissitudini di partiti, partitini e movimenti e gruppi che nascono e muoiono nello spazio di un mattino sono tutti sintomi di un paese alla ricerca di qualcosa che non trova e lascia pensare che nei cinquantacinque giorni che ancora ci separano dalla consultazione elettorale molte cose possono succedere.
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