Tutto è bene quel che finisce bene, dunque. Per l'azienda di trasporto pubblico di Roma “finalmente, inizia una nuova vita”. Ad annunciarlo, con l'enfasi delle migliori occasioni, Virginia Raggi. L'Obiettivo è “chiaro: migliorare le linee, rinnovare la flotta degli autobus, la metropolitana; ridurre i tempi d'attesa; dare ai cittadini i servizi che meritano; tutelare i dipendenti onesti". Tutto questo evitando che l'Atac finisca “nelle mani dei privati che puntano esclusivamente a fare cassa sulle spalle dei romani e dei dipendenti”.
Per l'occasione il sindaco grillino ha sollevato con due mani la falce e il martello, rispolverando l'armamentario retorico di un Mario Capanna qualsiasi contro il demone profitto e le sue logiche sottese, per dimostrare le buone ragioni di una scelta che “lascia Atac in mano pubblica, in una buona mano pubblica”. Ma come?
Innanzitutto percorrendo la strada obbligata del famigerato concordato preventivo, sul quale sono cadute per opposti motivi le teste del direttore Rota e dell'assessore al bilancio Mazzillo. C'è chi lo ha chiamato “fallimento morbido”, attraverso il quale si congela per un po' il debito di 1,3 miliardi, i relativi decreti ingiuntivi ed eventuali istanze di fallimento, in cambio di un piano di rientro da sottoporre ai creditori.
Fra questi figura, come è noto, lo stesso comune di Roma con la cifra ragguardevole di 429 milioni di euro: abbastanza, a quanto pare, per rischiare il "dissesto economico" a seguito della procedura di concordato, come paventato dall'ex assessore Mazzillo.
Ora resta da capire in che termini il Campidoglio ha fatto anche in proposito bene i conti. Col dissesto, infatti, il Comune verrebbe commissariato e Virginia Raggi andrebbe a casa con tutta la sua disastrata e fin qui disastrosa compagnia a 5stelle. In tal caso confermando, qualcuno direbbe, che non tutti i mali vengono sempre per nuocere. (A.M.)
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