Alla fine pagherà – come sempre - Pantalone? A dare credito alle parole del ministro dei trasporti Graziano Delrio, se “qualcuno si è convinto che ci sarebbe stato l'ennesimo salvataggio pubblico”, si è sbagliato di grosso, perché “indietro non possiamo tornare”. Pertanto, la bocciatura dei lavoratori Alitalia dell’accordo siglato fra azienda e sindacati, con tanto di garanzia milionaria del governo, dovrebbe – secondo le intenzioni - portare a una fase breve di commissariamento, che - dice il ministro dello sviluppo Calenda - deve assicurare la continuità dell'azienda e poi trovare un acquirente per Alitalia che sappia gestirla".
Già, perché gli arabi di Etihad hanno fatto una cattiva riuscita, deludendo attese, speranze e montezemoliani auspici. Si parla di Lufthansa, ipotesi questa non esclusa dagli esponenti del governo, che si sono intanto affrettati, uno dopo l’altro, Gentiloni compreso, a piazzare la bandierina del no alle nazionalizzazioni, nel tentativo forse di arginare sul nascere i possibili ripensamenti a fini elettorali di Matteo Renzi, sulle orme stataliste del Movimento 5 Stelle.
Comunque, un po’ di denari pubblici dovranno essere versati. Il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda ha spiegato che per la continuità "l'unica cosa sarà avere un prestito ponte dallo Stato, intorno ai 300-400 milioni, per assicurare sei mesi di gestione". Poi ci sono gli ammortizzatori sociali, per i quali potrebbe – avverte il ministro del Lavoro Poletti - non essere sufficiente il Fondo del trasporto aereo, “se con il commissariamento di Alitalia si deciderà per la messa in cassa integrazione di un numero più alto di lavoratori rispetto a quello previsto dal preaccordo bocciato dai lavoratori (circa 1.000)”. Da non trascurare, inoltre, la relativa crisi dell’indotto, che trascinerebbe con sé circa 20mila persone, ma forse molte di più.
Intanto, nelle more del che fare, a nessuno dei protagonisti pare sia venuto in mente di non cedere al ricatto di 12mila lavoratori nei confronti della collettività - come scritto da Francesco Giavazzi e Alberto Alisina sul Corriere della Sera.
"Se si crede – sottolineano i due economisti - che Alitalia vada e possa essere mantenuta in vita, si prenda il referendum per quello che è: una indicazione, ma nulla di più. Azionisti, creditori, management e governo, se ritengono il piano efficace, devono mandarlo avanti, per motivi che sono fondamentali anche per il funzionamento di una democrazia.
Il voto dei dipendenti di Alitalia è un ricatto alla collettività. Se qualche migliaio di cittadini che finora ha goduto anche di privilegi o comunque sono stati ben protetti, può bloccare un progetto che potrebbe risolvere un problema che, a torto o ragione, ha a che fare con benefici e costi per la collettività, l’essenza stessa della democrazia ne soffre. Se il piano si blocca, Alitalia o fallisce o viene salvata dal contribuente. In entrambi i casi vi sono costi per tutti noi. Ma alla collettività non si chiede un parere, lo si chiede solo ai 12 mila dipendenti di Alitalia.
Certo, per ogni contribuente i costi aggiuntivi di un ennesimo salvataggio non sarebbero molto alti perché i cittadini sono tanti. Ma Alitalia non è la sola azienda in difficoltà. Continuando a far pagare ai cittadini questo o quel salvataggio non si fa altro che aumentare il peso fiscale (che dovrebbe invece diminuire per favorire la crescita), oltre a tenere in piedi imprese evidentemente non competitive”.
(A.M.)
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