Lavoro o salute? In rete qualcuno ha rielaborato la questione in modo brutale: stare a casa senza stipendio ma con la salute, o andare a lavorare condannando i nostri figli al cancro?
In un modo o nell’altro, questo è il dilemma che si presenta alla società e alla politica, dopo la decisione del gip di Taranto di sequestrare sei reparti dell’impianto siderurgico più grande d’Europa, l’Ilva, per le attività inquinanti.
Secondo il gip “l’impianto ha causato e continua a causare malattia e morte, anche nei bambini, e chi gestiva e gestisce l’Ilva ha continuato in tale attività inquinante con coscienza e volontà per la logica del profitto, calpestando le più elementari regole di sicurezza”. In due parole: disastro ambientale.
Immediatamente è scattata la mobilitazione dei lavoratori, circa 15mila (da Genova a Taranto), stando alle parole del ministro dell’Ambiente Corrado Clini, che ha anche espresso la contrarietà del governo sulla chiusura dello stabilimento (“Non va bloccato ma reso sostenibile”).
La questione, comunque, va inquadrata sotto la giusta prospettiva. Che l’Ilva di Taranto abbia prodotto e produca “emissioni nocive che, come hanno consentito di verificare gli accertamenti dell'Arpa, sono oltre i limiti e hanno impatti devastanti sull'ambiente e sulla popolazione” (ciòè scritto nella disposizione del gip), appare difficile da smentire. A darne conferma sono i rapporti delle agenzie per l’ambiente, le innumerevoli inchieste di giornali e tv, le proteste delle associazioni ambientali, gli stessi operai sanno cosa succede una volta usciti dalla fabbrica.
Resta da capire quindi, ed è probabilmente questo il tema cruciale, se l’azienda abbia o meno imboccato la via dell’eco-compatibilità, come affermato dai lavoratori, dal gruppo Riva e dal presidente della Regione Nichi Vendola, leader di Sinistra Ecologia (da notare) e Libertà. Evidentemente no, se si considera la decisione del gip, che tra l’altro definisce gli atti d’intesa conclusi negli anni per migliorare le prestazioni ambientali dell'impianto come “la più grossolana presa in giro compiuta dai vertici dell’Ilva”. Parole dure, che costituiscono un sostegno alla tesi degli ambientalisti, e cioè che “la magistratura è intervenuta perché la politica ha fallito”.
Nessuno di quegli accordi negli ultimi anni è riuscito a risolvere la situazione, e il protocollo d'intesa “per interventi urgenti di bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione di Taranto” firmato ieri tra Regione e Governo finisce col costituire un disperato tentativo di mostrarsi (tardivamente) attivi nella risoluzione del problema. Praticamente, sottoposta alla necessità di posti di lavoro e sviluppo economico, per di più in una regione meridionale, e approfittando della preziosa sacca elettorale di operai, la politica ha finito, non con l’abbandonare gli ideali ambientalisti, ma comunque col subordinarli ai più consistenti fini economici.
Il tempo per conciliare economia ed ambiente si è avuto, ed è stato gettato al vento. In tutta la faccenda questa è l’unica constatazione che si può fare, e ora pesa come un macigno sul futuro di migliaia di operai.
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