“Un desiderio non costituisce un diritto”, scrivono da Palazzo Chigi per meglio chiarire la decisione del governo italiano di fare ricorso contro la sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo che lo scorso 28 agosto ha condannato l'Italia perchè la legge 40 vieta l'accesso alla procreazione assistita e alla diagnosi preimpianto per le coppie fertili ma affette da malattie genetiche.
Il rinvio alla Grand Chambre europea – spiega in una nota l'esecutivo - “si fonda sulla necessità di salvaguardare l'integrità e la validità del sistema giudiziario nazionale e non riguarda il merito delle scelte normative adottate dal Parlamento né eventuali nuovi interventi legislativi”.
Due anni fa Rosetta Costa e Walter Pavan, genitori di una bambina affetta da fibrosi cistica (di cui i due sono portatori sani), durante una seconda gravidanza avevano scoperto dai test prenatali che il bambino sarebbe nato malato, scegliendo di abortire: la coppia si era poi rivolta alla Corte europea lamentando il fatto che fosse loro proibita la fecondazione in vitro e la diagnosi preimpianto.
I giudici di Strasburgo, quindi, condannarono l'”incoerenza” di una legge italiana che nega l'accesso alle procedure di procreazione assistita a una coppia fertile ma geneticamente malata mentre un'altra legge (la 194) consente il ricorso all'aborto terapeutico nel caso in cui il feto sia affetto proprio da una malattia genetica.
Ma la coppia ricorrente, si sottolinea ancora nel ricorso presentato dall'Italia nell'ultimo giorno utile, prima di rivolgersi al tribunale di primo grado del Consiglio d'Europa non ha percorso l'iter di tutti i livelli di giudizio della magistratura italiana, così come richiede la Convenzione: la sentenza della Corte europea, pertanto, “ha conferito di fatto alla seconda sezione il potere di decidere su una questione sensibile prima della giurisdizione nazionale, ritendendo che il sistema giudiziario italiano non offrisse sufficienti garanzie”.
Sicché, come ha dichiarato un soddisfatto Rocco Buttiglione, “il governo è tenuto a difendere in sede europea gli atti della Repubblica italiana”. E chi ha, invece, il dovere di tutelare la salute della donna e del nascituro o il diritto e le esigenze di una famiglia che desidera un figlio e un'esistenza dignitosa?
“Il rispetto della vita queste coppie lo conoscono fin troppo bene – scrive in una lettera ad 'Avvenire' Filomena Gallo, segretario dell'Associazione Luca Coscioni – è in quel rispetto che scelgono se privarsi o no di un figlio. I potenziali genitori che scelgono di non mettere al mondo un bambino che soffrirebbe non sono certo 'spazzini della vita'”.
Il ricorso, secondo Gallo, non è altro che "un tentativo disperato di salvare l'insalvabile: ovvero una legge 40 che 19 decisioni italiane ed europee stanno smantellando, perchè incostituzionale ed ideologica”. (F.U.)
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