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19/11/24 ore

Saman, il Pakistan… e un libro che 10 anni fa descriveva umanità, contraddizioni e domande di libertà delle donne pakistane



di Maurizio Musu

 

Quando nel settembre del 2001 ci fu l’attacco alle torri gemelle a New York, salirono alla ribalta delle cronache Osama Bin Laden, l’Isis, i Talebani.

 

Un mondo ai più sconosciuto e segreto.

 

La ribalta faceva emergere un Pakistan di inizio millennio granitico, impervio, rigido, monolitico (come le vette del Nanga Parbat, austere e impenetrabili) in cui l’integralismo religioso e la shari’ah rappresentano i mezzi, e la cura, per combattere lo strapotere e l’invadenza dell’imperialismo occidentale.

 

Nel giugno del 2011, in Italia, la casa editrice Lindau pubblicò il libro “Pakistan express. Vivere e cucinare all'ombra dei talebani” della scrittrice italo-marocchina Anna Mahjar-Barducci. Il testo mette a nudo una realtà ben diversa dove emergono evidenti le contraddizioni di un Paese in bilico fra tradizioni millenarie e modernità, grandi ricchezze e povertà estrema, restrizioni della libertà individuale e desiderio di evasione.

 

In questa cornice acquistano valore identitario i luoghi d'incontro in cui i giovani vivono le loro feste proibite, quel mondo sotterraneo dove musica, alcol, abiti - all’uso occidentale – rappresentano la medicina al terrore, alla paura di quanto accade per le strade e nelle piazze.

 

Anna Mahjar-Barducci, che conosce molto bene il Pakistan, per averci vissuto, pone in primo piano il disincanto di una società inscritta sul legittimo volere di Dio mettendo in evidenze crepe, storture di quell’agire umano, che al contrario, facendosi scudo del Dio onnipotente, porta con sé non più libertà ma morte e disperazione.

 

In questo crocevia di diritti calpestati e identità umane non riconosciute prende forma e contenuto, con la delicatezza di una mano femminile, mai eccessiva e giudicante, il valore della lotta che ogni giorno uomini e donne affrontano contro la parte più conservatrice della società e del clero.

 

Di questo conflitto interno la scrittrice svela al lettore, riga dopo riga, un Pakistan diverso, più intimo e vivo, in cui colori, profumi, aromi permettono di immergersi e conoscere una terra sinuosa, morbida, leggera, affascinante.

 

Nei diversi capitoli si intervallano descrizione di piatti legati alle storie narrate, di cui l'autrice ha trascritto le ricette tradizionali, le quali, diventano la messa in scena di una rappresentazione popolare che non vuole dimenticare le sue origini e le sue tradizioni; che queste, non devono diventare il vincolo sacrale della tacita obbedienza, o peggio l’ancoraggio culturale verso arcaismi socio-culturali dal dubbio valore umano e legale.

 

Matrimoni combinati, obblighi, violenze, racchiudono l’obsolescenza di un passato che dovrebbe diventare terra straniera, ma che ancora oggi invece rappresentano la centralità tirannica dell’intero sistema pakistano! Nonostante l’uccisione, nel 2011, di Osama Bin Laden, il Pakistan ha continuato e continua, ad essere terreno fertile - per la consacrazione dello stato islamico -, di talebani e jiadisti.

 

E se la patria piange, non diversa la situazione per gli emigrati, i quali, supportando (per alcuni non è così), la legge islamica proseguono un percorso di annichilimento dell’identità umana verso il sogno di una vita devota e prestabilita.

 

Le singole ragioni che fanno sì che questo modello di vita venga esportato anche all’estero, permette alla scrittrice, nell’attraversare questo dedalo di vissuti strazianti e condivisi, di sott’intendere riflessioni e domande scomode sia al lettore che alla stessa comunità pakistana emigrata.

 

L’osservanza di regole, precetti e comportamenti stabiliti dagli integralisti si contrappone alla forza e determinazione delle nuove generazioni di essere sé stessi essendo anche altro da ciò che si eredita.

 

È quanto accaduto nell’aprile 2021 a Novellara (Reggio Emilia), dove Saman Abbas, diciottenne pakistana, scompare, probabilmente uccisa da uno zio perché restia nell’accettare il matrimonio combinato con un cugino mai visto. La sua è una storia come tante nell'Italia multietnica di questo nuovo millennio: una famiglia che arriva da lontano, tradizioni da rispettare che fanno da sfondo allo scontro generazionale fra genitori e figli, da un lato il modello dell’interazione, il semplice convivere con il paese ospitante, dall’altra una integrazione più reale con il tessuto sociale ospitante.

 

La possibile perdita delle radici, o in ottica opposta, l’acquisizione di nuovi costumi, rappresenta il tallone d’Achille nello scontro fra le due visioni di vita.

 

Quindi, i genitori con il presunto rispetto di usi e costumi del paese d’origine, e i figli, che pur rispettando le tradizioni, faticano nell’acquisire un nuovo status all’interno della famiglia e del paese ospitante.

 

Il rifiuto diventa l’unica risposta possibile; le conseguenze drammatiche pongono quesiti impellenti, radicali, efficaci, all’intero sistema socio-culturale delle parti in causa.

 

Stranieri ed esuli per la patria, sconosciuti e diffidati per il paese in cui risiedono.

 

Per questo motivo diventa necessario rivalutare il principio di integrazione L’Italia sembra promuoverlo con le varie comunità, nello specifico quella pakistana – ma si può aprire il discorso anche a tutte le realtà di etnia arabo-musulmana, indù e così via - al fine di costruire un sistema multiculturale-etnico in grado di tutelare chiunque e in qualunque contesto.

 

Scrivere del libro Pakistan express deve necessariamente attraversare questo fatto di cronaca, perché il caso di Saman non è isolato e perché, come la stessa scrittrice racconta attraverso Sameera, la questione femminile rappresenta uno dei temi cruciali del mondo musulmano non solo per gli emigrati ma per la stessa patria.

 

"(...) Sameera guardò poi il mio vestito. Quel giorno non avevo indossato il solito shalwar kameez, ma una gonna nera lunga e larga e un camicione che arrivava sotto i fianchi. Mi chiese se il mio abbigliamento avesse un nome, come lo shalwar kameez.

 

(...) Ci saremmo dovute rivedere ancora, ma poche settimane dopo appresi che si sarebbe sposata con un suo cugino e che si sarebbe trasferita a Peshawar. Era stato il padre a organizzare il matrimonio. Lei aveva accettato senza protestare. (...)Non la rividi più e non so se i suoi occhi scuri siano ancora così vivaci o se si siano spenti. Ma di lei mi è rimasto un foglio sbiadito con la ricetta di quel delizioso tè al latte, gradevole e dolce come il ricordo che ho serbato di lei…”.

 

Parole semplici, eloquenti, dirette, che raccontano il grande impatto emotivo che porta con sé la mortificazione di genere alla quale si assiste da lungo tempo. Mahjar-Barducci, con una scrittura mai eccessiva e stonata, ci pone davanti ad interrogativi impellenti che investono non solo il mondo arabo-musulmano ma anche, e forse, soprattutto, il mondo occidentale, reo di non accogliere le istanze e le lotte delle donne musulmane ma falso garante di quel sogno chiamato libertà e che poco attiene alla "reale questione femminile".

 

Un progetto di cosmopolitismo di nuova generazione (lettura personale) in cui interazione e integrazione, dovranno necessariamente comunicare fra loro in modo differente, oltre le visioni idealiste e onnipotenti del regime talebano, ed oltre la stessa inclusione escludente la sua origine e tradizione.

 

In questa mediazione culturale, il vero tratto distintivo dell'intero racconto è rappresentato dal sottofondo continuo, leggero, intimo del valore sociale e culturale delle ricette, degli abiti, dei colori, in contrapposizione al servilismo bieco di chi, accettando le imposizioni integraliste, gira la testa dalla parte opposta.

 

Infine un personale plauso alla scrittura, accogliente e leggera come tutti gli interpreti rappresentati nel romanzo.

 

 

 

Pakistan express. Vivere e cucinare all'ombra dei talebani

 

di Anna Mahjar-Barducci

 

 


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