L’intervista di Silvia Romano a Davide Piccardo, esponente della comunità islamica di Milano e direttore del giornale online La Luce, ha riaperto il dibattito sul velo, sull’Islam e sui valori dell’Occidente. Sorge però in primo luogo una domanda: come mai questa ragazza, per cui suo padre ha chiesto un po’ di pace perché c’era una figlia da proteggere, sia stata intervistata esponendola al centro di una polemica?
“Abbiamo bisogno solo di ossigeno… - ha detto il padre Enzo - una figlia rapita per 18 mesi è vittima di una situazione … in cui si è in preda di fatti che potrebbero portarti ad una profonda depressione…”.
Giustissimo, anche se sorprende come mai il direttore di Luce Piccardo si inserisca appunto con una intervista in una situazione così difficile, per perseguire una pressione che ha il sapore della propaganda, su una persona comunque ancora fragile, come ci dice suo padre.
Il concetto di onore
Durante l'intervista, la giovane cooperante dichiara che il velo è per lei sinonimo di libertà. Su questo vale la pena fare qualche riflessione. Romano infatti afferma di sentire dentro di sé che è Dio stesso a chiederle di indossare il velo per “elevare” la sua “dignità” e il suo “onore.”
Qualche anno fa, Salman Masalha, intellettuale druso israeliano, ha scritto un articolo sui diritti delle donne e sul concetto di “onore” nell’Islam. Particolare significativo dell’articolo di Masalha è il fatto che in arabo la parola per indicare la donna, ’ardh, significa anche onore. Secondo Masalha, pertanto, l'insistenza nel controllo del corpo della donna musulmana è un tentativo dell’uomo di aggrapparsi all'onore che non ha.
Nel suo testo, Masalha ha asserito: “È una condizione patologica, che può essere riassunta, dicendo che l'onore del maschio arabo non emerge dall'interno di se stesso, ma piuttosto è qualcosa che scorre da una fonte esterna ... da un altro luogo, da un'altra persona, e in particolare dalla donna, che è l'anello più debole in queste società. L'insistenza dell'uomo arabo nel controllare il destino e in particolare il corpo della donna non è altro che un tentativo di aggrapparsi all’onore che non possiede e di cui è privato, socialmente e politicamente ...”.
L’intellettuale druso ha poi spiegato ulteriormente che l’individuo non ha un ruolo nel mondo musulmano, dato che i valori della mentalità nomadica tribale condizionano ancora profondamente la società. Infatti, secondo Masalha, per quanto concerne il ruolo dell’individuo, l’Islam non ha introdotto valori nuovi, che potessero sostituire quelli nomadici. “[Pertanto,] tutto ciò che riguarda l'onore individuale è inesistente. Per questo motivo, l'uomo arabo cerca al di fuori di se stesso la propria identità repressa, dirigendosi verso l'anello più debole del suo contesto familiare, vale a dire la donna - sua moglie, sua sorella, sua figlia, ecc."
Romano ha il diritto di sentirsi libera come meglio crede, con o senza velo. Le fonti coraniche raccomandano che la donna indossi abiti modesti, ma non esiste un accenno specifico al tipo di indumento. Viene però spontaneo chiedersi se l’onore di cui parla Romano è il suo o se è quello dei suoi sequestratori, che anche adesso che lei è libera continuano a controllare il suo corpo e il suo destino.
Velo e altro...
Quando nacque l’Islam, nel VII secolo, fu una vera e propria rivoluzione per i diritti della donna. Le figlie femmine non desiderate non venivano più sepolte vive dalle famiglie e il numero di mogli ammesse fu diminuito a quattro. Il problema è che l’Islam non è riuscito a evolversi e stare al passo coi tempi, non riuscendo pertanto a offrire alla donna musulmana diritti che altre società hanno invece riconosciuto.
In generale, esistono sei elementi di discriminazione nei confronti della donna: due coranici e quattro ereditati dalla tradizione pre-islamica.
Il primo è la violenza fisica nei confronti della donna disubbidiente citato nella sura 4:34. L’uomo è preposto alla donna e si impone ai due sessi di riconoscere questo ordine gerarchico. La donna che si ribella ai voleri dell’uomo deve essere prima ammonita, poi cacciata da letto coniugale e, se la riconciliazione non è avvenuta, è permesso picchiarla.
Secondo alcuni apologisti islamici, le percosse devono essere lievi e non devono lasciare segni permanenti sul corpo. Questi apologisti citano una serie di Hadith, narrazioni degli atti e dei detti del Profeta, che consentono di percuotere una donna solo con un miswak (uno stuzzicadenti).
La seconda discriminante è la poligamia. Muhammad Abduh, importante giurista e teologo egiziano (1849-1905), aveva però sfidato questo precetto. Nei suoi scritti, Abduh dichiarava che un uomo può sposarsi con quattro donne soltanto se riesce a comportarsi in maniera giusta, ma, dato che l’essere umano non conosce il giusto, la poligamia non dovrebbe essere permessa. Ad oggi, la Tunisia è oggi l’unico paese arabo dove la poligamia è stata abolita formalmente.
La prima discriminante delle tradizioni pre-islamiche è il delitto d’onore. Non esiste alcuna sura coranica che lo ammetta. Un’altra eredità tribale è l’infibulazione femminile. La mutilazione genitale non trova alcun riscontro coranico, nonostante venga giustificata da molti imam. La terza discriminante è la lapidazione, come conseguenza di un rapporto extraconiugale (zina). Il Corano non cita quale debba essere la punizione per il “trasgressore”.
L’ultima discriminante è il velo. Le fonti coraniche raccomandano che la donna indossi abiti modesti, ma non esiste un accenno specifico al tipo di indumento. Spesso il clero islamico, quando non riesce ad interpretare alcune tematiche religiose, decide di adottare la posizione meno flessibile e misogina, dichiarando non islamiche le idee con le quali non concorda.
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