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23/12/24 ore

Diritti umani, i frutti dell'odio nel mondo



159 nove voci che riassumono le notizie sui diritti umani raccolte e verificate negli ultimi 12 mesi. Quella di Amnesty International è in sostanza una “enciclopedia delle violazioni” che racconta una verità articolata e complessa, a cui si prova a dare una sintesi proponendo alcune chiavi di letture. Quest'anno la parola chiave è odio, "che sta avvelenando la vita pubblica ed è diventato tema dominante in molti paesi".

 

A partire dagli Stati Uniti, che con l'avvento di Trump ha fatto registrare nel 2017 un arretramento in materia di diritti umani, contribuendo a "sdoganare pratiche fino a qualche tempo impensabili". Al Muslim ban, col quale si è impedito l’ingresso nel paese a persone provenienti da alcuni stati a maggioranza musulmana, si è accompagnata la "denigrazione sistematica di tutti i rifugiati e tutti i migranti".

 

Un atteggiamento purtroppo non isolato. "Basta infatti guardarsi intorno – sottolinea Amnesty - per vedere quanti Stati trattano i rifugiati e i migranti come un ostacolo da rimuovere, senza considerare che si tratta di persone che nascono uguali con gli stessi diritti, come recita il preambolo della dichiarazione universale dei diritti dell'uomo".

 

Non se la passano bene nemmeno le persone Lgbt, che in Russia, per esempio, "sono perseguitate per il loro orientamento sessuale o per la loro identità di genere, utilizzando fra l'altro, questa la legge sulla propaganda omosessuale".

 

Nelle Filippine, invece, "il contrasto del traffico di droga ha assunto la forma di una campagna violentissima in cui migliaia di persone appartenenti per lo più alle comunità più povere sono state sommariamente uccise. Quindi, non sottoposte a procedimento penale, non eventualmente punite, ma semplicemente eliminate fisicamente".

 

Amnesty International nella sua analisi non fa classifiche. Tuttavia al vertice della piramide dell'odio quest'anno pone "l'orrenda campagna militare di pulizia etnica contro i Rohingya in Myanmar, che dimostra a che punto si può arrivare quando le minoranze vengono individuate come capri espiatori".

 

Un altro tema che sta diventando rilevante ogni giorno, tale che sembra di essere tornati indietro, per combattere daccapo le battaglie antiche, è quello delle classiche libertà civili: libertà di associazione, di espressione, di manifestazione, di informare.

 

Amnesty sottolinea che lo scorso anno numerosi attivisti per i diritti umani sono stati uccisi e le autorità di diversi paesi hanno cercato di ridurre al silenzio i promotori di campagne sui mezzi di informazione. In tal senso, le più grandi carceri per i giornalisti sono stati la Turchia, l'Egitto, la Cina.

 

La Turchia ha visto anche l'arresto della direttrice e della presidente di Amnesty. E mentre la direttrice attende fuori dal carcere che si celebri un processo, il presidente è ancora detenuto con accuse grottesche.

In Egitto vengono chiuse le Ong, bloccati i siti, incarcerati i giornalisti per aver pubblicato notizie che il governo definisce false.

In Cina il governo ha continuato ad applicare, con il pretesto della sicurezza, una serie di leggi liberticide. Molti attivisti sono stati arrestati con accuse generiche, mentre i controlli su internet sono stati rafforzarti, così come i controlli su qualsiasi forma di pratica religiosa.

Anche in Europa, dalla Francia alla Polonia, le restrizioni alla libertà di manifestazione pacifica non può essere data per scontata.

 

Amnesty fornisce due numeri che danno la misura dell'attacco contro chi diffonde informazione sulle violazioni dei diritti umani. Nel 2107 almeno 312 attivisti per i diritti umani sono stati uccisi, soprattutto in America Latina, mentre almeno 262 giornalisti sono finiti in prigione per motivi legati allo svolgimento del proprio lavoro. (red.)

 

 


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