Qualcuno potrebbe pensare che la Corte europea dei diritti umani si stia accanendo contro l’Italia. O forse è l’Italia che negli anni si è accanita in spregio ai diritti umani. Pochi giorni fa, infatti, la condanna per la tortura alla Scuola Diaz, oggi la sentenza su Bruno Contrada, condannato per “concorso esterno in associazione mafiosa”: un reato non “sufficientemente chiaro” all’epoca dei fatti, dicono i giudici di Strasburgo.
Correvano gli anni 1979-1988 e, come ricostruisce il corriere.it, l’ex funzionario del Sisde fu accusato da “diversi collaboratori di giustizia di passare informazioni a Cosa nostra e di avere consentito la fuga di pericolosi latitanti, come il boss Totò Riina, ricevendo la «copertura» di non identificati vertici istituzionali”.
Condannato nel maggio 2007, Bruno Contrada si è rivolto alla Corte di Strasburgo nel luglio del 2008, appellandosi all’articolo 7 della Convenzione europea dei diritti umani, che stabilisce il principio «nulla pena sine lege».
Nella sentenza i giudici europei affermano che «il reato di concorso esterno in associazione mafiosa è stato il risultato di un’evoluzione della giurisprudenza iniziata verso la fine degli anni ’80 e consolidatasi nel 1994 e che quindi la legge non era sufficientemente chiara e prevedibile per Bruno Contrada nel momento in cui avrebbe commesso i fatti contestatigli».
Per la Corte i tribunali italiani «non hanno esaminato approfonditamente la questione della non retroattività e della prevedibilità della legge» e non hanno quindi risposto alla questione «se un tale reato poteva essere conosciuto da Contrada quando ha commesso i fatti imputatigli».
Contrada fu arrestato il 24 dicembre 1992 e detenuto in carcere fino al 31 luglio 1995. Dal 10 maggio 2007 al 24 luglio 2008 è stato nel carcere militare a Santa Maria Capua Vetere, dal 24 luglio 2008 agli arresti domiciliari per il suo stato di salute. A giugno 2012 la Cassazione, ancora una volta, aveva detto «no» alla richiesta di revisione del processo.
Bruno Contrada negli anni ha ricoperto l’incarico di capo della squadra mobile di Palermo negli anni 70, poi dirigente della Criminalpol, capo di gabinetto dell’Alto commissariato antimafia e, infine, «numero tre» del Sisde. Al telefono con l’Agi, si è detto «un uomo la cui vita è stata devastata da 23 anni, dal 1992 ad oggi”, dopo aver “subito sofferenza, dolore, umiliazione e devastazione della mia esistenza e della mia famiglia”.
Contrada aveva chiesto 80 mila euro per danni morali. La Corte ha stabilito che lo Stato italiano dovrà pagare 10 mila: davvero poca roba per un reato all’epoca inesistente e tuttora alquanto ambiguo già dalla sua denominazione. (red)
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