Intenso dibattito all’interno del Sinodo convocato da Papa Francesco sui temi dell’omosessualità, della comunione ai divorziati risposati, delle unioni civili e di fatto e altri sempre nella materia, guarda caso, dei diritti civili, tanto rilevante quanto straniante per il rapporto della Chiesa con il mondo moderno, rapporto che da quasi un secolo ha introdotto nell’istituzione un dibattito del massimo rilievo.
Questo dibattito ha conosciuto due fasi (anche se intersecate e connesse), una prima centrata sul rapporto con il progresso delle scienze e la cultura del positivismo (mentre i timori legati alla vittoria della rivoluzione russa rafforzavano la politica dei concordati) e una seconda che ha coinvolto la stessa dimensione interna della Chiesa.
In America latina è sembrata prevalente la dimensione sociale, mentre in Europa è rimasto investito anche il problema della democrazia liberale (e sono stati toccati i dati più intimi dell’esperienza religiosa, in particolare nel cattolicesimo francese). E oggi il papa sudamericano convoca i vescovi per discutere alcuni dei problemi, dei quali il dato saliente sta nel fatto che il confronto con essi costringe la Chiesa a confrontarsi con se stessa, proprio per poter misurarsi con il mondo che la circonda.
Il cattolicesimo sociale (che in Italia e nel’America latina ha registrato ampie prossimità tra cattolici e comunisti) si è imperniato nei campi dell’economia e del lavoro: era facile sul piano della dottrina, sulla base dell’anticapitalismo, dell’intervento dello stato in economia e del corporativismo. Ma c’era una dimensione di fondo che non veniva investita: il rapporto con le persone, la natura del rapporto con le persone.
Le resistenze alle innovazioni di cui oggi la Chiesa discute sono diffuse, ma sembrano articolarsi tutte sul rifiuto di questo confronto, sulla difesa dottrinaria delle regole, delle definizioni, dei dogmi, dello stesso neo-temporalismo: una Chiesa che parla il linguaggio del diritto, una Chiesa che fa una sua politica e che mal si concilia, allora, con la sensibilità diffusa, maturata negli ultimi decenni.
Resta una Chiesa che sta “sopra” e non “in mezzo”, una Chiesa come era e non vuol essere diversa. Papa Francesco parla un’altra lingua, idealmente congiungendosi con Giovanni XXIII; il fondamento del suo pontificato sta nella distinzione del peccatore dal peccato. Di peccati non vuole parlare. Lo disse chiaramente a proposito dell’aborto: la posizione della Chiesa sull’aborto è stata definita e nessuno intende modificarla. Ma altro sono le persone e l’afflato umano che ad esse ci deve legare, perché il peccatore non è un reietto da mettere all’angolo e a lui vanno aperte le braccia della misericordia.
Ecco allora la missione pastorale, intesa a riempire il cuore degli uomini facendone vibrare le corde della carità verso il prossimo. La Chiesa giudicante, punitiva, temporalistica, domenicana, aristotelica, tridentina si è trovata con le chiese vuote per l’incapacità di suscitare valori sentiti e capaci di coinvolgere le anime.
L’aridità dogmatica di quanti si oppongono alla svolta che papa Francesco sollecita, si manifesta tutta nello scandalo suscitato da quei novatori che hanno detto di aver conosciuto tra gli omosessuali persone splendide. Una reazione palesemente assurda, tanto più se si riflette sul fatto che la tendenza omofila è altrettanto naturale di quella eterofila. Bisogna rileggere il “Cantico delle creature” per scoprire la profondità cristiana di Jorge Mario Bergoglio e i motivi per i quali ha voluto essere papa “Francesco”, il primo papa a prendere il nome del poverello di Assisi.
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