Quaderni Radicali 108, in uscita in questi giorni, oltre al Primo piano sulla gravità delle patologie della “questione giustizia” in Italia, offre ampio spazio ad altri temi di attualità politica interna e internazionale. Fra questi l’intervento di Gianfranco Spadaccia al Convegno: “Obiezione di coscienza in Italia. Proposte giuridiche a garanzia della piena applicazione della legge 194 sull’aborto” organizzato dall’AIED (Associazione Italiana per l’Educazione Demografica) e dall’Associazione Luca Coscioni risulta illuminante per cui vuole saperne di più in proposito.
di Gianfranco Spadaccia
Quando nei primi anni ’70 cominciammo la nostra lotta per la legalizzazione dell’aborto, le stime valutavano in molte centinaia di migliaia gli aborti clandestini cui le donne italiane erano costrette ogni anno a causa del reato previsto dal Codice Rocco. Oggi, a quaranta anni di distanza, in questo convegno promosso dall’AIED e dalla Associazione Luca Coscioni, ci riuniamo invece per interrogarci sulle iniziative da intraprendere contro i nuovi attacchi alla legge 194 e contro i ripetuti tentativi di paralizzarla e di renderla inoperante grazie all’obiezione di coscienza dei medici e alle inadempienze delle amministrazioni sanitarie.
Oggi come allora, ci giunge l’eco dei nuovi atti di terrorismo e delle nuove stragi che come una maledizione sembrano sempre colpire questo disgraziato paese nei momenti di crisi istituzionale e politica. Oggi come allora siamo rafforzati dalla consapevolezza che, battendoci per il rispetto della legge e perché siano affermati, salvaguardati, difesi i diritti delle donne, ci battiamo anche per la democrazia, per la legalità, per la libertà e la responsabilità della persona.
Il problema ci rimbalzò dall’America, dal movimento e dalla contestazione femminista di quel paese. Ma non fummo contagiati dal motto presto fatto proprio anche dalle femministe italiane: “il corpo è mio e lo gestisco io”. A muoverci furono le stime allarmanti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Se quelle stime erano attendibili, ci trovavamo di fronte a un problema sociale che bisognava interrompere e risolvere.
L’esempio che ci era venuto non solo dalle Corti Americane ma da alcuni Stati europei come la Gran Bretagna e l’Olanda, che avevano legalizzato l’aborto, ci diceva che questo era possibile; e se era possibile era doveroso tentarlo, era doveroso farlo diventare un obiettivo politico da imporre all’Agenda politica del Parlamento e del Paese.
Allora, come ci accade anche oggi ad esempio di fronte ai guasti prodotti dalla crisi della giustizia e alla tragedia del sovraffollamento carcerario, non inseguimmo proclamazioni ideologiche ma ci ponemmo il problema concreto di come combattere la piaga dell’aborto clandestino e di come sottrarre al dramma della criminalizzazione centinaia di migliaia di donne che erano costrette a ricorrervi con gravi rischi per la loro salute e la loro stessa vita.
Fu Loris Fortuna, il deputato socialista che con noi aveva costituito la LID e dato il suo nome alla legge sul divorzio approvata nel 1970 dal Parlamento e confermata dal referendum del 12 maggio 1974, a presentare il primo progetto di legge sulla depenalizzazione e la legalizzazione dell’aborto. Durante la campagna elettorale del referendum sul divorzio tentammo senza successo la raccolta di firme per altri referendum, uno dei quali riguardava la depenalizzazione del reato d’aborto…
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