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18/11/24 ore

Pussy Riot-Gay-Greenpeace, i diritti per nulla umani nella Russia di Putin


  • Francesca Pisano

“Lavoriamo dalle sette e mezza del mattino a mezzanotte e mezza, non abbiamo più di quattro ore per dormire. Ci danno un giorno libero ogni sei settimane. Le mani sono piene di piaghe e buchi fatti dagli aghi; il tavolo è coperto di sangue, ma tu continui a cucire”.

 

Queste alcune righe della lettera con cui Nadia Tolokonnikova, ha denunciato le violazioni dei diritti umani subite nella colonia penale in Mordovia a cui è stata destinata in seguito alla condanna per teppismo e vilipendio che ha subito per aver inscenato, come membro gruppo rock delle Pussy Riot, “una protesta cantata” contro il regime di Putin, in una cattedrale di Mosca nel febbraio 2012.

 

Proprio per quella lettera Nadia è stata trasferita in un campo di lavoro nel cuore della Siberia, a 4500 km dalla Russia centrale, per raggiungerla adesso il suo avvocato e i suoi familiari incontreranno ulteriori, estreme difficoltà. Ha accusato il vicedirettore del carcere in cui era rinchiusa per averla minacciata di morte e ha raccontato dei soprusi cui sono soggette le detenute: una donna è deceduta in seguito al pestaggio, un’altra ha subito delle amputazioni perché è stata lasciata al gelo per punizione, un giorno intero.

 

Quello che accade in Russia è comprovato dai fatti, dalle testimonianze, quello che è negato in termini di libertà è sancito dalle leggi. Lo scorso giugno la Duma ne ha approvate due: una volta a punire le offese nei confronti di sentimenti religiosi, la pena prevista può arrivare fino a tre anni di prigione ed è stata concepita proprio successivamente alla vicenda delle Pussy Riot.

 

L’altra legge è quella che punisce ogni atto di propaganda omosessuale o, come definito testualmente dal provvedimento, “ogni propaganda per il sesso non tradizionale”. Sono fissate multe di 4000-5000 rubli per un individuo che “commetta il reato”, se si tratta di un personaggio pubblico la sanzione può raggiungere il corrispettivo in rubli di 1.250,00 euro, come riportato da Le Monde.

 

Più grave è la pena per una propaganda fatta su internet, le organizzazioni e le altre persone giuridiche rischiano in questo caso di restare chiuse per 90 giorni, mentre gli stranieri possono subire multe per 100.000 rubli, essere arrestati o espulsi.

 

Lo scorso 3 Novembre a San Pietroburgo c’è stato un assalto presso l’ufficio della ONG LaSky, impegnata nell’assistenza di persone gay che hanno contratto l’Hiv. Due uomini col volto coperto e che brandivano fucili ad aria compressa e mazze da baseball hanno fatto irruzione durante l’incontro settimanale volto alla sensibilizzazione e a promuovere la tolleranza. Per mano degli aggressori sono state ferite due persone. “Se non verrà fatto nulla per combattere l'odio, il terreno sarà fertile per ulteriori violenze" - ha dichiarato Denis Krivosheev, vicedirettore del Programma Europa e Asia Centrale di Amnesty International, sottolineando che quest’aggressione “avrebbe potuto avere esiti persino peggiori e mortali e rappresenta un ulteriore segno di quanto sia diffusa l'atmosfera omofoba in Russia”.

 

Con un’accusa diversa da quella di propaganda omosessuale, un’altra conosciuta Ong, Greenpeace, si trova da circa due mesi sotto il ricatto della Federazione russa. 30 attivisti sono stati accusati di teppismo in seguito alla rimodulazione dell’iniziale accusa di pirateria. Rischiano fino a sette anni di detenzione, per un reato inesistente e che è stato costruito in maniera artificiosa e inverosimile dietro un episodio che si è verificato lo scorso 18 Settembre.

 

A bordo della nave Artic Sunrise gli Artic30 protestavano pacificamente contro una piattaforma petrolifera della compagnia Gazprom leader nell’estrazione del petrolio. La causa degli attivisti di Greenpeace, attualmente detenuti a San Pietroburgo in attesa delle prossime mosse da parte delle autorità, ha sollevato l’opinione pubblica a livello internazionale, come per il caso delle Pussy Riot e come la rete di attivisti per i diritti degli omosessuali che si indignano e prendono posizioni contro le politiche omofobe di Mosca.

 

Eppure se queste gravi violazioni dovrebbero essere ben lungi da qualsiasi plauso, soprattutto da parte di chiunque abbia a cuore la tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, l’apice dell’incoerenza viene raggiunto “inaspettatamente” dalle Nazioni Unite che lo scorso 12 Novembre hanno attribuito proprio alla Russia, insieme a Cina, Arabia Saudita e Cuba, i seggi del Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni unite; questi Stati fanno quindi parte dei nuovi “guardiani dei diritti umani”, secondo l’appellativo calzante attribuito da Le Monde.

 

D’altronde anche l’organismo che ha preceduto il Consiglio, ossia la Commissione dell’Onu sui diritti Umani, ha avuto in passato fra i suoi membri dittature come Cina, Cuba, Sudan, Siria, Arabia Saudita e Libia ed è stato soppiantato proprio per “politicizzazione e credibilità in declino”, in base a un’esperienza di errori reiterati.


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