Due aree specifiche in cui manifestare: questa la trovata del presidente Putin per circoscrivere lo spazio in cui potersi riunire e controllare che oltre i perimetri consentiti non salti in mente a qualche “testa calda” di fomentare disordini. Si tratta, più precisamente, di un ex parcheggio e di un parco. Il primo si trova sotto il ponte Krymsky, nelle vicinanze di Park Kultury che è un grande parco giochi nel centro di Mosca, il secondo, chiamato Sokolniki, è situato invece nella parte nord est della città.
Con una legge dello scorso dicembre la Duma ha infatti istituto i cosiddetti “hyde park” e in questi giorni siamo venuti a conoscenza di quali siano realmente questi spazi. Certo definirli con la stessa espressione usata a Londra per chiamare ben altri hide park appare quantomeno ambizioso, considerando invece che quelli di Mosca sono destinati a ospitare manifestazioni che presentano caratteristiche molto diverse.
E’ necessario infatti che vengano previamente autorizzate attraverso l’inoltro di una richiesta ai gestori di queste aree, specificando chi sono i promotori dell’evento e qual è lo scopo per il quale si intende portarlo avanti. Occorre inoltre che le domande pervengano non prima dei quindici giorni che precedono la data e non più tardi dei tre giorni immediatamente prima, altrimenti si è scartati o vengono applicate agli organizzatori gravi pene pecuniarie.
Non è possibile installare degli amplificatori in queste aree, al massimo si possono utilizzare dei megafoni, non è neppure consentito l’allestimento di alcun palco. Inoltre, se lo spazio dell’ex parcheggio può contenere 1.500 persone, al massimo 2.000 possono stare nel parco di Sokolniki. In sostanza, basta un cavillo burocratico o il non attenersi al resto delle limitazioni perché tutto vada a monte. Ma che partecipazione è quella a una manifestazione “pilotata” o “recintata” che dir si voglia?
La legge sugli hide park in Russia rientra nella politica di restrizione della libertà di espressione, riunione e associazione che la Repubblica Federale sta vivendo sotto il terzo mandato del presidente Vladimir Putin.
Altro triste esempio di questa situazione è la “caccia alle streghe” – così definita dai governi francese, tedesco e americano - portata avanti contro le Organizzazioni non governative che operano nel territorio russo. Infatti, secondo una legge approvata lo scorso anno all’unanimità da parte della Duma - su iniziativa del partito Russia Unita, cui fa capo il presidente Putin - le Ong hanno l’obbligo di iscriversi in appositi registri che le identificano come “agenti stranieri” per il fatto che ricevono finanziamenti da parte dei governi esteri.
Peraltro, in uno scenario come quello della Russia post-comunista, tali finanziamenti risultano indispensabili perché le associazioni possano continuare a operare autonomamente in campo civile. Con questo nuovo espediente il governo cerca di sottoporle a sorveglianza speciale, in quanto la loro attività è considerata “politica” perché influenza l’opinione pubblica.
Quando la legge è entrata in vigore, a novembre scorso, tutte le Ong si sono rifiutate di ottemperare al provvedimento che hanno definito “amorale e contrario al diritto”. Iscriversi nei registri vuol dire infatti riconoscere di essere agenti stranieri manipolati da potenze straniere individuate come implicitamente nemiche.
In questo clima diverse centinaia di associazioni, a Mosca, a San Pietro Burgo e nelle province sono state oggetto di tentativi di “ispezioni” di verifica. Tra loro la ong Memorial, Amnesty International, la Lega per i diritti dell’uomo, del Gruppo moscovita di Helsinki, le associazioni umanitarie Agora e Golos. Molte hanno negato l’accesso agli ispettori che hanno richiesto di controllare talvolta il mansionario del personale, talvolta i protocolli delle riunioni degli organi dirigenti o anche i programmi dei convegni.
In alcuni casi i governi di riferimento delle associazioni presenti sul territorio della Repubblica Federale hanno reagito convocando gli ambasciatori russi per chiedere invano spiegazioni, così hanno proceduto ad esempio la Francia, la Germania, gli Stati Uniti. Il capo della diplomazia europea, Catherine Ashton, ha parlato a riguardo di un attacco generale alla società civile russa. L’associazione Memorial ha chiesto l’intervento della Corte Europea per porre fine a questa pratica e anche Gorbačev si è dichiarato contro le “ispezioni” sottolineando che è necessario dare il via a una nuova perestrojka in Russia.
L’ondata di controlli è stata inoltre accompagnata da una violenta campagna diffamatoria contro le associazioni, realizzata in televisione attraverso reportage contro gli “agenti stranieri” additati come organismi capaci di minare la sovranità della Russia e danneggiare la nazione. Non a caso il ritorno di Putin alla carica di Presidente era stato preceduto da contestazioni contro i brogli elettorali e le pressioni esercitate sulla società civile per orientarne le scelte politiche.
La risposta è stata l’aumento dell’ingerenza dello Stato sulle sfere della libertà di espressione. E' stato infatti perseguito un inasprimento delle sanzioni per diffamazione convertite da amministrative in penali, così come sono stati posti dei limiti all’utilizzo di internet con il pretesto di proteggere i minori dai pericoli della rete.
Discorso a parte merita il giornalismo che purtroppo non ha mai smesso di essere un’attività altamente pericolosa specialmente per quanti provino a ficcare il naso nelle questioni inerenti le manovre del potere e i suoi affari. Contro questo stato di cose e in risposta al primo anno del terzo mandato del presidente russo Vladimir Putin, Amnesty International ha pubblicato lo scorso aprile un rapporto dal titolo: “Libertà minacciata: repressione della libertà d'espressione, riunione e associazione in Russia" nel quale analizza l’inasprimento delle restrizioni contro di esse, in violazione di quanto invece è stabilito negli articoli 29, 30 e 31 della Costituzione della stessa Repubblica Federale russa.
Amnesty chiede con urgenza alle autorità di rispettare le Convenzioni internazionali e i Trattati sui diritti umani firmati in passato dalla Russia. Viene fatto appello alla necessità di tutelare proprio quelle libertà che le nuove leggi introdotte e gli emendamenti a quelle già esistenti minacciano gravemente. Il rapporto sottolinea infatti l’importanza di “rispettare il diritto della società civile di partecipare alla vita pubblica”, garantire “l’efficace protezione dei difensori dei diritti umani e dei giornalisti soggetti a minacce e a intimidazioni”.
E’ necessario inoltre che la Russia “si astenga dall’adozione di leggi federali che vietino la propaganda omosessuale e che venga nel contempo garantita l’abrogazione della legislazione regionale che invece ha prodotto questo effetto”.
Fondamentale è inoltre che le forze dell’ordine e i funzionari del corpo di polizia ricevano una formazione adeguata perché non ricorrano all’uso sconsiderato della forza intervenendo nelle manifestazioni pubbliche e che anzi forniscano un’adeguata protezione ai partecipanti di eventi pubblici che possano essere minacciati dagli atti di violenza esercitati da oppositori.
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