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16/11/24 ore

Immigrazione e Inte(g)razione in Italia


  • Anna Mahjar-Barducci

L’Italia è un paese in continua evoluzione. L’afflusso di immigrati da ogni latitudine offre al nostro Paese nuove sfide, ma anche nuove opportunità di rinnovarsi. Centocinquantadue anni fa, grazie all’Unità d’Italia si è assistito all’incontro di popolazioni regionali e comunali, che fino ad allora non avevano mai interagito fra di loro.

 

Il siciliano pertanto non capiva il dialetto del lombardo, così come il veneto non riusciva a comunicare con il lucano. Persino durante la Grande Guerra, casi di fuoco amico furono dovuti anche all’incomprensione della lingua, facendo pensare al soldato italiano che dall’altra parte ci fosse il nemico austriaco, invece che un proprio connazionale.

 

Oggi, l’Italia si trova a dovere riaffrontare una simile sfida. Come nel 1861, il nostro paese, proiettato verso nuovi orizzonti, può essere ancora fecondato attraverso l’incontro di altre popolazioni. Questa volta, non regionali, ma immigrati provenienti da diverse latidutini, che hanno attraversato il Mediterraneo su mezzi di fortuna, nutriti dalla sola speranza o illusione di trovare una vita migliore.

 

Ed è qui in Italia che uomini e donne arabi, africani, asiatici e della stessa Europa dell’Est hanno deciso di far nascere e crescere i loro figli. Questa seconda generazione, nonostante non le venga riconosciuta la cittadinanza italiana dalla nascita, sono parte integrante del tessuto sociale del nostro territorio, parlano meglio l’Italiano che la lingua dei loro padri, e desiderano fondamentalmente sentirsi figli d’Italia. Accade però, il più delle volte, che i figli di immigrati non vengano aiutati a sentirsi Italiani.

 

Secondo un rapporto Cittalia-Anci "Da residenti a cittadini: il diritto di cittadinanza alla prova delle seconde generazioni", se non venisse cambiata la legge sul diritto di cittadinanza, nel 2029 ci sarebbero ben due milioni di minori nati in Italia, ma considerati stranieri. Lo studio Cittalia-Anci segnala che nel 2029 raddoppierà il numero di minori stranieri residenti nelle città italiane, passando dall'attuale 9,7% a un 20,7%.

 

Se venisse modificata l'attuale legge sulla cittadinanza, basandosi sullo ius soli invece che sullo ius sanguinis in vigore attualmente, nel 2029 l'86% del totale dei minori stranieri residenti diventerebbe cittadino italiano, invece che solo il 7%. La necessità di inserire lo ius soli è di evitare la pericolosa alienazione di migliaia di ragazzi, che sono nati e cresciuti in Italia, hanno studiato nelle scuole italiane e la loro madrelingua è l’italiano.

 

Questi ragazzi però non possono partecipare alla vita pubblica dell’Italia, che sentono essere il loro paese. La mancanza dello ius soli contribuisce a rendere i figli di immigrati insicuri di chi sono. Quando sono in Italia, non sono trattati come Italiani, nonostano siano di fatto parte integrante del futuro del nostro paese. E quando vanno in vacanza nel luogo di nascita dei genitori, nel più dei casi hanno problemi di comunicazione, non parlando bene la lingua del posto.

 

L’Italia rischia quindi non solo di creare una generazione di alienati, condizione pericolosa e che può sfociare in violenza, ma anche l’opportunità di rigenerarsi. Questi ragazzi di seconda generazione rappresentano, infatti, un capitale umano da valorizzare e che può generare crescita. Uno ius soli temperato, come viene definito dai media, sembrerebbe essere la soluzione migliore per l’Italia.

 

Lo ius soli verrebbe temperato dallo ius culturae, ovvero la possibilità di dare la cittadinanza a coloro che hanno imparato, seguito un corso professionale in Italia, oppure che almeno un genitore soggiorni nel nostro paese da almeno cinque anni. Lo ius soli puro, dato la posizione geografica dell’Italia, sarebbe sconsigliabile, perché sussite il rischio che cittadini e cittadine vengano a partorire in Italia solo per la cittadinanza.

 

L’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (Anci) ha recentemente promosso la campagna informativa “18 anni in Comune”, che aiuta le amministrazioni locali a capire che con i ragazzi figli di immigrati nati in Italia conviene avere un rapporto costruttivo che favorisca la vera integrazione, non solo di fatto, ma anche di diritto.

 

Secondo l’associazione Save The Children sono circa 15.000 i ragazzi e le ragazze tra i 17 e i 18 anni, nati in Italia e di origine straniera, che secondo l’attuale normativa, possono diventare italiani se, oltre a essere stati registrati all’anagrafe, hanno risieduto legalmente in Italia fino alla maggiore età e senza interruzioni. Ma per farlo devono presentare una richiesta al Comune di residenza entro il diciannovesimo anno di età.

 

Tuttavia gran parte di loro non è a conoscenza del fatto che per fare domanda hanno solo un anno di tempo a partire dalla maggiore età. Da qui la necessità di una campagna informativa che l’Anci ha deciso di promuovere che si rivolge ai giovani di origine straniera prossimi alla maggiore età, per informarli, attraverso una lettera inviata dai sindaci, della possibilità di esercitare il loro diritto a diventare cittadini.

 

Recentemente, su impulso del ministro per l'Integrazione Cècile Kyenge, i media hanno riportato che è in arrivo con il pacchetto sulla semplificazione (un disegno di legge e un decreto legge) che a 18 anni si possa acquistare la cittadinanza anche “in caso di eventuali inadempimenti di natura amministrativa” da parte dei genitori.

 

Il sito Stranieri in Italia ha riportato che tra questi inadempimenti, potrebbe esserci la mancata iscrizione all’anagrafe del bambino, una “svista” che ha tagliato le gambe a molti aspiranti italiani, che non potevano dimostrare di essere da sempre, regolarmente, in Italia.

 

Secondo la nuova norma, i figli degli immigrati potranno presentare certificati scolastici e medici come prova che anche quando non risultavano ufficialmente residenti in alcun Comune erano effettivamente ancora in Italia.

 

STEREOTIPI

 

I media e la politica sono rimasti ancorati a modelli identitari, che non esistono più. Per cui un ragazzo con gli occhi a mandorla che vive a Prato dalla nascita, dovrebbe parlare per forza con la “l” al posto della “r”, e crea invece stupore il fatto che abbia la tipica “c” toscana, provocando addirittura grandi risate. Inoltre, per fini elettorali, spesso si cerca di cooptare ragazzi che rappresentano lo stereotipo dello straniero.

 

Questi stereotipi non sono però rappresentativi della realtà, essendo questa molto più complessa e poliedrica. Basta visitare una qualsiasi scuola o Università italiana per rendersene conto...

 

- prosegui la lettura dell'articolo su Quaderni Radicali 109, Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.


- Cittadinanza: cambiare si deve, si può! di Francesca Pisano

 

 


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