Un blogger 'troppo progressista' per rimanere impunito. Così le autorità dell'Arabia Saudita hanno condannato a sette anni di carcere e 600 frustate il direttore del sito web 'Free Saudi liberals', Raif Badawi. L'accusa è quella di “aver violato i valori dell'Islam e aver diffuso il pensiero progressista” creando un forum in cui si discute del ruolo della religione nel regno.
Badawi, 25 anni, è stato arrestato il 17 giunto 2012 e rinchiuso per un anno nel carcere di Briman, a Gedda: dopo un anno di detenzione, il processo si è concluso con l'ordine di chiusura del sito internet e con una condanna ritenuta dall'opinione pubblica e dalla stampa anche abbastanza 'mite' considerando che il giovane direttore era accusato di apostasia e, di conseguenza, rischiava la pena di morte.
Una situazione “inaccettabile” - ha denunciato Amnesty International lo scorso gennaio, dopo aver lanciato un appello con raccolta di firme per la liberazione del blogger, considerato un prigioniero di coscienza - “per un attivista la cui unica colpa è quella di aver dato vita a un dibattito sociale online”: Badawi, infatti, aveva firmato numerosi articoli in cui prendeva di mira alcune figure o istituzioni religiose come la 'Commissione per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio' (la polizia religiosa).
“Le nostre congratulazioni alla commissione per la promozione della virtù – scriveva ironicamente Badawi – perché c’insegna cos’è la virtù e vuole assicurare che tutti i sauditi siano tra le persone destinate al paradiso”.
Parole viste non proprio di buon occhio dalle autorità locali, persuase della necessità di dover metter a morte l'uomo che aveva osato mettere in discussione i rigide dettami del credo islamica: Badawi, che davanti ai giudici si è dichiarato musulmano – confessione confermata dalla moglie – è riuscito quantomeno ad evitare il patibolo. A morire al suo posto, ancora una volta, sarà la libertà di espressione.
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