Dolore fisico, sofferenza psichica, perdita della propria dignità e indipendenza possono diventare insostenibili. Una società civile non dovrebbe costringere nessun individuo a sopportare queste condizioni, non si tratta di una decisione che può spettare a terzi. La libertà di scelta è un fondamentale principio democratico. Perlomeno così la pensano paesi come l’Olanda, il Belgio e il Lussemburgo, tra i primi al mondo a dotarsi di leggi per la regolamentazione dell’eutanasia.
Ma l’Italia - dove è in corso la raccolta firme dell'Associazione Luca Coscioni e dei radicali per una proposta di legge di iniziativa popolare - no, ha un’opinione differente. Il paese delle apparenze ritiene che sia moralmente inaccettabile lasciare l’Individuo libero di scegliere, libero di mollare delicatamente la fune che lo tiene legato ad un’esistenza priva di tutto ciò che possa renderla degna di essere vissuta, libero di non voler schiacciare i propri cari sotto il macigno di una malattia senza via d’uscita e che molto spesso viene combattuta tra le pareti domestiche, senza nessuna assistenza da parte dello Stato.
Per quale motivo fatichiamo tanto ad accettare la possibilità che il malato o i suoi familiari possano essere in grado di decidere autonomamente? Il conflitto con alcune concezioni religiose di certo non aiuta. La Chiesa cattolica è contraria ad ogni forma d'eutanasia, attiva od omissiva, mentre promuove il ricorso alle cure palliative e ritiene moralmente accettabile l'uso di analgesici per trattare il dolore, anche qualora comportino − come effetto secondario e non desiderato, si badi bene! − l'accorciamento della vita del paziente...
Eutanasia e suicidio sono atti peccaminosi insomma. Resta vivo più che mai, invece, il coraggioso esempio del Cardinal Martini, che rifiutò l’accanimento terapeutico contro un Parkinson tanto potente da non lasciare scampo. Se si comincia a sindacare quale livello di condizione può essere considerata “non degna di essere vissuta”, chi potrà mai ergersi a giudice per stabilirlo?
L’uomo è fragile, lo è da sempre di fronte alla morte, fa parte della sua natura. Ma se quello stesso uomo arriva ad un punto tale da trovare il coraggio di tagliare da sé i fili che lo allacciano al suo burattinaio, non sarà sintomo importante di una volontà da rispettare? Accasciarsi dolcemente assaporando dopo lungo tempo un istante di libertà, non varrebbe più che mille giorni incatenato a quei fili?
Ognuno dovrebbe essere giudice di se stesso. Facendo riferimento al panorama legislativo italiano si distingue l’eutanasia da altre pratiche concernenti la “fine della vita”. L'eutanasia attiva è assimilabile, in generale, all'omicidio volontario (art. 575 codice penale). In caso di consenso del malato si configura la fattispecie prevista dall'art. 579 c.p. (Omicidio del consenziente), punito con reclusione da 6 a 15 anni... Anche il suicidio assistito è un reato (art. 580 c.p. Istigazione o aiuto al suicidio).
L’ Italia è in ottima compagnia, la Gran Bretagna prevede fino a quattordici anni di carcere per eutanasia. Noto il caso di Tony Nicklinson, affetto da locked-in-syndrome, che si trovava, lucido, prigioniero del suo corpo immobile. Gli è stata negata la possibilità di morire.
Paese dilaniato dal dibattito, ma dove forse esiste speranza, è invece la Francia. Lo stesso Hollande si è reso fautore del diritto a beneficiare di assistenza medica, in circostanze precise e rigorose, per “terminare la vita con dignità” nei casi in cui una malattia in stato avanzato o terminale non possa essere in alcun caso lenita.
Poi, in mezzo ad un panorama umanamente infelice come questo, spunta fuori dal cilindro la Svizzera, dove è legale il suicidio assistito e dove sta prendendo vita un vero e proprio turismo della morte per chi, nel paese di provenienza, non ha alcuna possibilità di mettere fine alle proprie sofferenze. Ma non è giusto, non è così che dovrebbe andare.
Storie come quelle di Piergiorgio Welby (copresidente dell'Associazione Luca Coscioni, che si batte per il diritto dei malati a decidere della propria sorte, nonché per la libertà di ricerca scientifica), di Nuvoli, Moroni, Englaro, ci ricordano che ottenere il riconoscimento di un diritto che la stessa Costituzione dovrebbe garantirci può tramutarsi in cruda battaglia.
L’eutanasia è un diritto, non una concessione della chiesa, non una concessione dello Stato: “Averci dato un solo ingresso alla vita, ma diverse vie di uscita è quanto di meglio abbia stabilito la legge divina”. Lucio Anneo Seneca.
Francesca Garofalo
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