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15/11/24 ore

Elisabetta e Tomaso, prigionieri in India. La giustizia come pregiudizio allo stesso modo di La Torre e Girone



Con il “permesso speciale” su cauzione concesso per le “vacanze” di fine anno ai due fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone l’India ed il suo sistema giudiziario sono tornati a riempire le cronache della stampa italiana, purtroppo ancora una volta superficiale e dalla memoria corta, più attenta al “palazzo” che alla vera notizia, più al folclore che alla sostanza delle cose.

 

La prima nota stridente è che il caso è stato del tutto decontestualizzato come se non fosse principalmente frutto di un approccio giudiziario molto lontano dai canoni occidentali, dove l’incriminazione è preconcetta e il procedimento viene costruito come un rituale a convalida del pregiudizio iniziale, non come analisi e dibattimento volto all’acquisizione della verità, la colpevolezza o l’innocenza.

 

I due “marò”, come vengono gergalmente indicati gli appartenenti alle forze da sbarco, gli “italian marines” nell’ottica anglosassone, nella disavventura sono tuttavia dei fortunati; diversa la sorte di Tomaso Bruno ed Elisabetta Boncompagni ai quali è stato in appello riconfermata una condanna all’ergastolo, naturale conclusione di un procedimento basato sul pregiudizio culturale che li classificava come reprobi ed immorali, da condannare per principio, forse anche per dare l’esempio ad un certo genere di turisti occidentali, di cui la stampa nazionale sembra essersi del tutto dimenticata, in quanto non sotto i riflettori della politica e del “palazzo”.

 

Eppure i due casi sono omologhi, molto simili nella loro diversità che per molti aspetti li rende non paragonabili. In entrambi i casi l’imputazione si basa sul pregiudizio, non su elementi di prova oggettivi. Al contrario i pochi dati certi scagionano i due militari da qualsivoglia responsabilità nella morte dei due indiani imbarcati su un natante impegnato in presunte attività di pesca.

 

Non corrisponde il calibro dei proietti; le traiettorie appaiono complanari con l’elevazione del natante colpito, semmai con andamento dal basso verso l’alto come documenta una lunga traccia sotto il tettuccio della cabina di pilotaggio con solo foro d’entrata; l’armatore e comandante del natante ha cambiato cinque volte versione fornendo sempre posizioni non compatibili con quella certa del mercantile su cui erano imbarcati i due fucilieri con funzioni di lotta alla pirateria, rendendosi infine colpevole dell’affondamento del battello, con la cancellazione di eventuali tracce che avrebbero provato un possibile conflitto a fuoco, con esplosioni di colpi dal medesimo.

 

In entrambi i casi in un Paese con un approccio giudiziario non pregiudiziale, come fanno notare gli sostenitori di Tomaso ed Elisabetta nel gruppo facebook a loro sostegno, non si sarebbe avuto neppure l’avvio di un procedimento a carico, figurarsi una condanna riconfermata in appello, contro ogni ragionevole evidenza.

 

Ai due militari è sinora andata meglio anche per la fortissima mobilitazione di commilitoni o di sostenitori delle Forze Armate che si sono organizzati in più gruppi su facebook, con circa centomila aderenti in totale. Di uno di questi gruppi, forse il più piccolo dei più numerosi,Riportiamo a casa i due militari prigionieri”, chi scrive è uno degli amministratori. Sono tornati, ufficialmente per un permesso speciale, ma, potrebbero non rientrare in India, in quanto la Costituzione vieta l’estradizione, nel caso specifico la riconsegna, di persone imputate di reati per cui nel Paese di destinazione rischierebbero la pena di morte, con divieto assoluto persino nel caso di esplicito impegno di quel Paese di non applicarla. Su questo punto ci accingiamo a dare battaglia per impedire il loro rientro in India.

 

Bene per i due militari, ma per Tomaso ed Ely detenuti a Varanasi in condizioni inumane? Indirettamente riguarda anche il loro caso. Il blocco del rientro in India dei due militari sarebbe la probabile conseguenza dell’apertura di una inchiesta da parte della Magistratura italiana, che ha già provveduto ad interrogarli, con conseguente rogatoria internazionale per acquisire gli atti d’accusa. Un passo per potere demolire il pregiudiziale castello accusatorio in un dibattimento regolare.

 

Certo questo non influirebbe direttamente sul caso di Tomaso ed Elisabetta, che potrebbero solo usufruire della recente legge che consente ai condannati nei rispettivi Paesi, India ed Italia, di scontare la pena, in questo caso l’ergastolo, nel Paese d’origine. La sentenza non potrebbe venire ribaltata da un tribunale italiano, ma solo da un ricorso al Tribunale internazione sui diritti umani per violazione dei medesimi da parte del sistema giudiziario indiano.

 

L’esito sarebbe certamente influenzato dal mettere in evidenza le anomalie di quel sistema giudiziario, che apparirebbero in maniera inconfutabile nel dibattimento sul caso dei due fucilieri, con non trascurabile effetto sull’eventuale ricorso dei due giovani sfortunati turisti.

 

Questo articolo e questa presa di posizione vuol essere un modo per onorare da subito questo impegno morale, non “lasciando indietro” i due meno fortunati connazionali anch’essi incappati nel tritacarne di un sistema giudiziario imperniato sui pregiudizi e non sulle prove oggettive.

 

Giorgio Prinzi


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