Molte volte e sempre più spesso l’artista si sente in grado di andare oltre il significato stesso di quello che compie, forse per provare a raggiungere nuovi orizzonti, come per dare importanza alle opere che crea.
Un atteggiamento, o forse una “maniera”, che coinvolge l’anima dell’arte contemporanea a tal punto che tutto è possibile. Se a questo si aggiunge l’arbitraria appropriazione di un linguaggio o di quello che si vuol definire tale per imporre quello che è di fatto l’opera d’arte, immaginate il caotico guazzabuglio che ne viene fuori, se tutto ciò viene moltiplicato per l’innumerevole schiera di storici dell’arte, critici, curatori, galleristi e operatori, che egualmente si assumono l’onere di decidere quale è il valore dell’arte, vi potete immaginare la mole del problema.
Un ginepraio dal quale non sembra possibile uscire: a dimostrazione di ciò pensiamo che chi meglio potrebbe argomentare e perorare in merito sarebbe Achille Bonito Oliva, che dagli anni 70 in poi è stato, se non il creatore, di sicuro uno dei maggiori animatori dell’arte di questi ultimi anni.
Eppure si guarda bene dal dare una visione complessiva dell’arte contemporanea, e nemmeno ne scrive. Mi ricordo l’ira funesta del partenopeo Achille al dibattito sulla mostra Anni ’70, arte a Roma (fine dicembre 2013- marzo 2014), nella sala conferenze del Palazzo delle Esposizioni, nei confronti di Daniela Lancioni che aveva curato la mostra, perché non sopportava che qualcuno storicizzasse quel periodo, tanto che le fece ammettere pubblicamente che era la sua tesi di laurea, sottilmente volendo significare che era una mostra didascalica.
Forse perché quel periodo se lo sentiva suo o forse perché non gli piaceva come era stata realizzata la mostra, Achille non celava una viscerale opposizione all’operato di Daniela Lancioni anche se, come al solito sfrontato ma elegantissimo, non fece pesare questo suo risentimento a livello personale.
Tutto questo va ricordato perché, trovandomi da Gavin Brown di fronte a quell’enorme schiera di pupazzi, mi sentivo davvero preso per i fondelli. Una sensazione simile l’ho avuta di fronte all’uomo che si masturba nei quadri di Georg Baseliz, opere che ti trasformano in morboso o stupido vojeur.
Jos de Gruyter & Harald Thys
I piccoli pupazzi sporchi di pruppà
Gavin Brown
V dei Vascellari 69
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