Alla fine degli anni '20 del secolo scorso la cooperativa di filarmonici di Berlino, nata nell''800 come compagnia autogestita, si ritrova sull'orlo del baratro finanziario. Queste sue difficoltà la porteranno a gettarsi nelle mani del nazismo che renderà l'orchestra il principale e più efficace mezzo di propaganda del regime.
E' la fine dell'indipendenza di una struttura che vantava un'autonomia pluridecennale, sia gestionale che programmatica, e l'inizio della trasformazione dei singoli componenti da liberi professionisti a impiegati statali del Terzo Reich. I pochi ebrei e gli “halbjuden” (cristiani che hanno parenti ebrei) che ne fanno parte saranno, ovviamente, costretti progressivamente ad abbandonare il proprio posto di lavoro.
I vantaggi di quel che sarà uno sfruttamento reciproco saranno notevoli, non solo per il regime che potrà così disporre di una delle migliori orchestre, la Filarmonica di Berlino, per celebrare la cultura tedesca nel mondo ed esportare la produzione musicale germanica, ma anche per il gruppo complessivamente e per i singoli componenti che, in qualità di “rappresentanti della patria”, specialmente durante la guerra, godranno, tra l'altro, di privilegi quasi esclusivi, quali per esempio, lo status di UK, “unabkommlich”, cioè “indispensabile” e quindi esentati dal richiamo alle armi.
“L'Orchestra del Reich” di Misha Aster è una descrizione dettagliata non soltanto di questo processo involutivo, ma anche della situazione economica, del cambiamento nell'organizzazione e nella programmazione, del rapporto tra l'orchestra e i suoi dirigenti (con particolare attenzione a Wilhelm Furtwängler, colui cioè, che ne fu il direttore per un lungo arco di tempo in quegli anni) e i vari organi del regime nazista, con brevi accenni sia alla situazione antecedente, sia alle vicende post-belliche e al processo di denazificazione.
L'autore non esprime giudizi in merito ai comportamenti dei musicisti e dei loro dirigenti, sebbene sottolinei più volte che molti di loro non aderirono attivamente al regime e, in alcuni casi, attuarono una più o meno velata opposizione. Un'opposizione, però, non sempre dettata da idee liberali o da uno spirito umanitario, ma piuttosto da un immenso amore per la musica o del proprio ego che portò spesso ad una minima indipendenza artistica.
Non è un libro di storia, né di musicologia o per esperti del settore, ma una ricerca approfondita utile sia agli studiosi, sia ai comuni lettori interessati a quel periodo o per capire i meccanismi che portarono così tante persone ad adeguarsi a quel necrofilo regime. Un libro che stimola anche la riflessione sul rapporto che corre tra l'arte e il potere politico, specialmente in feroci dittature e su quanto le necessità finanziarie spesso influenzano l'adesione a determinate ideologie.
Elena Lattes
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