Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

24/12/24 ore

Le terze tavole. La Shoah alla luce del Sinai, di Massimo Giuliani


  • Elena Lattes

Non c’è dubbio che il trauma più sconvolgente del ventesimo secolo abbia suscitato e continui a porre innumerevoli domande, gran parte delle quali rimangono senza una risposta risolutiva: come si può interpretare la Shoah se si pensa ai Dieci Comandamenti? Una terza rottura delle Tavole della Legge e dunque un’alleanza fatta a pezzi, o un suo rinnovo alla luce degli eventi successivi?

 

Il male ad essa legato è “banale”, come scrisse Hannah Arendt, “radicale” come per Emil Fackenheim o “assoluto, oltre la possibilità di comprensione”, come lo definì Karl Jaspers?

 

Ci sono poi innumerevoli domande anche più pragmatiche e che oggigiorno si fanno sempre più doverose e urgenti: davanti all’immane tragedia si deve tacere in un rispettoso silenzio o si deve continuare a scrivere? Si possono realizzare opere d’arte, fiction e altro ancora a riguardo?

 

Quali rischi tutto ciò comporta? E ancora: “ha senso musealizzare ciò che è avvenuto ad Auschwitz e negli altri campi di concentramento e di sterminio, o semplicemente portare scolaresche in ‘gita’ a quei campi, rischiando di farne attrazioni turistiche invece di sobri luoghi di riflessione sugli effetti devastanti del razzismo e dell’antisemitismo elevati a ideologia di Stato?” e “ogni strategia mnemonica va bene (…) oppure esistono modi e mezzi meno adatti che finiscono con il distorcere la specificità di quella memoria?”

 

Massimo Giuliani, docente universitario di Pensiero ebraico, affronta in “Le terze tavole. La Shoah alla luce del Sinai”, pubblicato dalle Edizioni Dehoniane, molti di questi dubbi, riflettendo su quanto espresso da filosofi, storici, letterati, esponenti religiosi, sopravvissuti e teologi sia ebrei che cristiani.

 

Lo fa citando ampi stralci di numerosissime opere, mettendoli a confronto e commentandoli con comprensione per il dolore e la sofferenza di chi ha vissuto sulla propria pelle la ferocia nazista e con quella consapevolezza e rispettosa apertura di chi sa che per argomenti così complessi e profondi nessuna delle risposte analizzate è definitivamente e oggettivamente “giusta” o “sbagliata”.

 

Ricorda teorie secondo le quali la Shoah è “così immane e sproporzionata… da rendere insufficiente persino l’antico concetto del tragico” (sebbene il tragico sia un concetto greco) e da far fallire la filosofia dinanzi alla prova della storia causando la rottura di ogni approccio razionale e religioso tradizionale: “Nessun evento storico, di per sé, è foriero di rivelazione; lo diventa alla luce della sua interpretazione in virtù di una parola profetica che lo investe di un certo significato per qualcuno e di una memoria liturgica.” (Wyschogrod)

 

Un esempio eloquente dell’analisi di Giuliani riguarda il silenzio divino: per alcuni, infatti, la Shoà sarebbe una sorta di “anti-Sinai” (ammettendo, con questa definizione, che vi è un lato incomprensibile e demoniaco, che chiama in causa Dio stesso” ma senza rinunciare “al nocciolo della fede”) poiché essa è l’emblema dell’assenza e “della negazione di ogni scelta e della condanna alla morte”, laddove la rivelazione è invece quello della presenza, il “luogo del sì alla vita”

 

Un’altra domanda è su chi nei campi di sterminio fosse veramente venuto a mancare, Dio o l’uomo. Poiché, se si valuta la prima ipotesi si viene a creare un “impasse difficile da superare”, condannandosi ad una “semignostica posizione diarchica: il male come potere alternativo a Dio”.

 

L’accostamento, allora, potrebbe concernere invece un altro aspetto, quello della rottura delle prime Tavole, ovvero “la tragedia nel cuore del miracolo; la contraddizione che non risparmia la Parola divina; l’umano che fa resistenza al divino; la profanazione che infrange lo specchio del sacro; la luce stessa che si oscura”.

 

Dunque, se si considera la Shoah come “il picco del dramma teologico”, come un secondo andare in frantumi, si coglie il senso del titolo del libro: da questa spaccatura nascerebbero le terze tavole, naturalmente ideali e immateriali, “un’icona pedagogica ricreata per cogliere il senso di un evento straordinario innestandolo sul tronco di una storia e di una memoria sacre ed emblematiche”.

 

 


Aggiungi commento