Lilly nasce il 25 dicembre del 1915 a Wloszczowa, una cittadina della Polonia a metà strada fra Cracovia e Lodz. Ragazzina vivace e brillante, trascorre la sua infanzia e l’adolescenza nella spensieratezza, sognando, come tutti i suoi coetanei, e tentando più tardi di realizzare con determinazione le sue ambizioni, immersa abbastanza felicemente negli affetti degli amici, dei primi amori, ma soprattutto di una famiglia numerosa e variegata.
Raccontando la sua vita, per forza di cose romanzata, il nipote, Uri Jerzy Nachimson ricostruisce l’ambiente di questa giovane uccisa a Treblinka all’età di 27 anni e di tutti i suoi parenti che sono stati inghiottiti dalla belva nazista. Sono tanti i personaggi de L’album di Lilly (europa edizioni), che l’autore, come scrive egli stesso, è stato costretto – poiché nato dopo la guerra - a conoscere soltanto attraverso i racconti del padre e di pochi effetti personali di sua zia Lilly e dei suoi parenti più stretti.
Li ha dovuti far rivivere, strappandoli all’oblio delle fosse comuni e delle macerie polacche, ha dovuto aggiungervi un po’ di immaginazione per poi “farli morire di nuovo, questa volta dignitosamente”. Un racconto dal linguaggio asciutto, senza enfasi, odio, rancore o generalizzazioni semplicistiche, quasi fosse la cronaca di una cruda realtà pubblicata da un giornale o il resoconto documentato di uno storico, ma che appassiona pagina dopo pagina.
Il lettore si affeziona facilmente ai protagonisti, con i loro pregi e difetti, fino a sentirli quasi di famiglia, per i cui drammi si prova tristezza e amarezza. Attraverso il loro vissuto, si percepisce, infatti, da una parte il progressivo stringersi della morsa dell’odio di molti polacchi prima e dell’antisemitismo aperto e violento poi con l’invasione nazista. Non mancano naturalmente personaggi positivi con i loro coraggiosi atti di onestà e umanità a causa dei quali, alcuni pagheranno un prezzo altissimo.
Dall’altra si leggono le espressioni di una ferrea e costante volontà di uguaglianza e di assimilazione che, lungo il dipanarsi del racconto, si rivelerà essere sempre di più una mera illusione di cui molti cominceranno lentamente a prendere coscienza. Le relative delusioni faranno nascere in alcuni il desiderio di riscoprire, almeno parzialmente, le proprie radici identitarie e religiose.
Un processo lungo e così tardivo che in gran parte dei casi non riuscirà a portare con sé alcuna salvezza concreta. Queste tensioni riflettono in maniera sintetica e divulgativa anche il dibattito, all’epoca ben presente nel mondo ebraico, soprattutto dell’Europa centro orientale, tra le diverse e più diffuse opinioni: comunismo, socialismo, sionismo, assimilazionismo, patriottismo e altro ancora.
Visioni che erano alla base di molte correnti filosofiche e che dettero vita, a partire dalla metà del diciannovesimo secolo, a numerose organizzazioni operative per cercare e tentare di offrire una soluzione salvifica a tutti coloro che troppo spesso erano stati perseguitati e massacrati e che non si erano mai sentiti al sicuro e completamente a proprio agio perfino nei periodi più pacifici e tranquilli. Un profondo malessere percepito anche dai sopravvissuti alla Shoah e che lo stesso autore descriverà, altrettanto magistralmente, nel secondo volume, “Il patriota polacco”, già recensito per questa testata.
Un libro dunque che offre, attraverso il vissuto di una famiglia armoniosa - nonostante le divergenze, le incomprensioni, i litigi e gli allontanamenti - una gradevole lettura per avvicinarsi, anche se solo parzialmente, alle drammatiche traversie di un’intera epoca in una determinata parte del mondo. Una storia presentata senza alcun filtro ideologico o affettivo in cui le dinamiche interpersonali, sostanzialmente, fanno riflettere sulla fragilità fisica di ogni essere umano e sulla ricerca di quella forza morale che dovrebbe emergere (ma a volte viene del tutto soppressa) nei momenti di maggiore difficoltà.
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